Numero 54
L’attesa è finita!
Il numero 54 di Sardegna Antica C. M. è finalmente disponibile nelle migliori edicole della Sardegna.
Un numero ricchissimo, pieno di sorprese e novità. In una parola: imperdibile!
L’attesa è finita!
Il numero 54 di Sardegna Antica C. M. è finalmente disponibile nelle migliori edicole della Sardegna.
Un numero ricchissimo, pieno di sorprese e novità. In una parola: imperdibile!
Pieghe mentali e mancata Scienza di Giacobbe Manca
É una questione di credibilità.
Molti, troppi indizi consentono dubbi sulla strana cronologia del Nuragico attualmente utilizzata in Sardegna e, incredibile a dirsi, viene pure presa sul serio dagli studiosi italiani e persino dagli europei: credo in buona fede e per mancanza d’altro.
La questione è molto, direi troppo importante per lasciarla correre. Specialmente per i molti guasti che derivano da una periodizzazione attualmente diffusa “in ambiente”: alquanto miope, a mio vedere.
Di fatto s’ingenerano errori, perdite di tempo, spreco di carta e inchiostri, in ricercatori che assai meglio potrebbero impiegare il loro ingegno in cose più costruttive.
Per associazione di idee, esco dal vago ed entro nel velleitario, penso alla presunta scrittura nuragica, che a iniziali tratti di stimolo lascia il campo a pedanti e caparbie posizioni speculative.
Penso che se il nuragico non fosse ridotto dalla cosiddetta accademia a quel “calderone” smodatamente ampio e accomodante, molte ambiguità sarebbero non solo superate, ma non sarebbero state neanche intraprese:
uno scritto più o meno vago o proponibile, databile a un’avanzata Età del Ferro, per esempio, in nessun modo potrebbe essere ritenuto e preteso come nuragico, se fosse finalmente chiaro a tutti che la detta, straordinaria epoca dei costruttori di nuraghe, si era già conclusa da secoli prima.

Si tratta di voler vedere e accettare, secondo scienza – per metodo – e non per schieramento di una o altra tifoseria.
Per questo ho da tempo il desiderio struggente di ripercorrere le tappe che hanno visto i presunti ricercatori archeologi predecessori alla scrupolosa ricerca del quadro cronologico in cui calare le vicende
preistoriche della Sardegna.
Si tratta, insomma, di chiarire come si è giunti infine a determinare quella
griglia del tempo nuragico e, per capire, quale valore scientifico essa possa avere: un esercizio che sarebbe salutare anche per le povere università isolane, dove “la cosa” è rifilata agli allievi come garantita, in virtù di altere posizioni dogmatiche (gli archeologi sono tutti “credenti”) e sottaciuta nella sua intima dinamica compositiva (prendere o lasciare: a scatola chiusa, senza spazi per dubbi).
Sarà un impegno gravoso, lungo e paziente, forse tedioso, e per questo da anni tengo “lontano da me questo calice amaro”.
Col passare del tempo, però, è divenuto necessario e persino urgente, quagliare argomenti solidi per uscire dalle molte facce dell’ambiguità,
con cui sono costretto a confrontarmi.
Per principiare il gravoso excursus storiografico, credo sia opportuno andare rapidi sui calcoli fatti dal canonico G. Spano nel suo trattatello sui nuraghe.
1 Egli propone date assolute incontrollabili, ma garantite dalle discendenze bibliche, ¡da lui interpretate!
Nei popoli Caldei, che si dispersero tra Siria e Palestina, egli individua i costruttori dei nuraghe.
Non condivide l’Arri, secondo cui quei medesimi (G. Spano, Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, 1854-1867, p. 48.) transfughi edificarono i nuraghe solo verso il 1546 a.C. (sic!), ovvero quando lasciarono la Palestina per l’occupazione di Giosuè.
Egli afferma, invece, che tutto dovette avvenire prima di Abramo, tra il secondo e il terzo secolo dopo il diluvio universale: esattamente 292 anni dopo quell’evento (sic!), ovvero 2322 anni prima di Cristo (ancora sic!).
L’ispirazione architettonica fu data dal naïve impegno edile di Caino, il quale edificò una città turrita [s’intenda una torre città] e la chiamò Enoch, come il suo figlio maggiore.

Si può convenire che i dati sopra enumerati siano un tantino sospetti, ma comunque interessanti: non posso fare a meno di notare una “straordinaria” vicinanza della data dell’Arri con quella più attuale fornita oggi dalle scuole universitarie quella dello Spano non poté essere accolta dall’accademia:¡troppo mistica!)
ma le convergenze potrebbero essere casuali.
La successiva sintesi, ben più moderna, venne circa un secolo dopo da Massimo Pallottino.
2 Egli propone uno schema a larghissime maglie; accetta la diffusa opinione che il Nuragico si debba ascrivere all’Età del Bronzo (¿perché? – ¡non è dato sapere!).
Stando a questa ferma visione, i primi nuraghe risalirebbero a un “certo tratto” dell’ampio ventaglio di secoli compresi tra il 1500 e l’800 a.C., nel quale s’affaccierebbero la fine dell’Eneolitico e l’avvio del Bronzo…
CRONOLOGIA MISTICA Leggi tutto »
La bella copertina e il sommario del n° 53 fresco di stampa.
Lo potete trovare nelle migliori edicole della Sardegna al consueto costo di 3 euro.
Premessa Alla domanda: “Qual è la guerra più antica?”, la risposta più corretta sembrerebbe essere: “Quella del 2.700 a.C., vinta da Sumer contro l’Elam, in cui Enembaragesi, re di Kish, spogliò gli Elamiti di tutti i loro possedimenti”.
Fu certamente una guerra tra due popolazioni ricche e stanziali ormai da vari millenni. Ma fu solo la prima riportata per iscritto dagli annalisti: e certamente fu preceduta da mille altre…

L’evidenza archeologica di “guerra” più antica in assoluto appartiene al sito di Jebel Sahaba, nell’odierno Sudan settentrionale ed è datata attorno ai 12.000 anni prima di Cristo. Quegli antichi resti d’esseri umani uccisi in azioni violente di guerra, ottennero un’accurata sepoltura nel vicino cimitero di Qadan: ciò lascia intuire che una popolazione già stabilizzata e non più nomade, ebbe modo e tempo di provvedere a sepolture tradizionali. Ciò conferma la “regola” della sedentarietà che causerebbe la guerra.

Il problema In questi ultimi anni, si assiste ad un tambureggiante crescendo rievocativo delle presunte grandezze culturali, marinare e militari dei Sardi del passato.
Più spesso si tratta d’iniziative d’entusiasti “non addetti ai lavori” (come chi scrive questo articolo, s’intende!), ma talvolta persino di aventi diritto, con tanto di titolo d’archeologo.
Si può fare un po’ di chiarezza?
…LEGGI L’INTERO ARTICOLO NEL N° 52
LA GUERRA PIÙ ANTICA Leggi tutto »
Un’osservazione filmica della tradizione sarda nella Notte dei Morti
di Ignazio Figus

“La notte del 2 novembre si mangiano di prammatica “sos macarrones de sos mortos” (i maccheroni dei morti).
Prima di porsi a letto le famiglie preparano sulle mense un gran piatto di questi maccheroni, che sono destinati ai defunti parenti.
Le anime entrano alla mezzanotte nelle case, girano intorno alle mense imbandite, e se ne partono quindi saziate dal solo odore delle vivande.Se invece non si prepara alcun piatto, i morti se ne vanno via sospirando…” .

Questo scriveva nel 1834 il poeta, giornalista e folklorista, Giuseppe Calvia Sechi nella Rivista delle tradizioni popolari a proposito delle usanze familiari logudoresi in occasione della commemorazione dei defunti.
Nelle note relative a questa descrizione lo studioso ci informa che: “È un ricordo evidente del culto dei morti in Grecia e in Roma…” e ancora “Pare di assistere alla scena di Tiresia e delle anime vaganti attorno al fosso scavato da Ulisse, e descritto da Omero nell’XI dell’Odissea…”
Questa relazione vivi – morti evidenziata dal Calvia, sembra dunque sottolineare una ricerca di risposte a interrogativi eterni che riguardano la vita e la morte e il nostro rapporto con esse.
I defunti, in qualche modo, non sono separati dalla comunità, ma continuano a farne parte ed è necessario sfamarli, oltre che imparare ad ascoltarli traendo insegnamenti per il prosieguo della nostra vita.
Il culto dei morti è un elemento centrale nella cultura popolare della Sardegna. Rappresenta indubbiamente uno dei temi classici dell’antropologia e trova nell’Isola (e nel meridione d’Italia) espressioni ancora vitali e analizzabili…
…LEGGI L’INTERO ARTICOLO NEL N° 52
LA CENA DELLE ANIME Leggi tutto »
“Spallate d’autore” o Faulabberu”
di Giacobbe Manca
¿Quale Archeologia?
Desideri e Clima avverso
L’obbiettivo è scrivere di ricerca in ambito preistorico senza ripetere amenità trite; voglio percorrere una strada nuova per la ricerca in Sardegna, aperta nell’ambito dell’Architettura Preistorica, oltre le stucchevoli convinzioni riportate in manuali obbligatori, nati stantii. Puntare l’obiettivo sulle tecniche non riscuote i consensi dovuti, ma sono ineludibili anche se subdolamente evitate, finora. Introducendo gli argomenti tecnici penso sia cosa buona e giusta eliminare macerie e cianfrusaglie fin qui prodotte dai tanti “padroni” dell’Archeologia in pagine assai lontane da una qualche parvenza di scienza.
Si tratta di lembi stucchevoli di un folklore archeologico tutto sardo.

L’Architettura e le Tecniche Preistoriche si apprendono in specie sul campo, studiando di persona molti monumenti, cui si sommano gli apporti di operai intelligenti, laureati alla scuola dell’esperienza artigiana: sono cavapietre, scalpellini e costruttori di veri muri a secco (solidi), che, per fortuna, mi hanno accompagnano agli scavi.
Con giuste conoscenze si fanno i passi nella ricerca di settore, ben oltre l’attuale storiografia, ricca di contraddizioni e molte amenità. Eppure, gli addetti hanno sempre attinto a quella, acriticamente.
Il loro “attingere” (¡incredibile a dirsi!) lo definiscono “metodo
storico”; di fatto sono tristi sottrazioni di pensieri altrui.
Il cosiddetto “metodo” degli accademici, infatti, è solo un sotterfugio attuato da chi fruga nelle tasche altrui, non fa ricerca scientifica e, poveretto, in concreto non sa leggere un monumento.
E le fantasie accademiche sono chiamate scienza!

Misera tempora cucurrunt
A considerare la consistenza delle conoscenze tecniche
possedute da ampia parte degli Archeologi di Sardegna, dopo “soli” due secoli d’indagini così “autorevolmente reclamizzate”, viene lo sgomento.
Tralasciamo i pochi lumi del ‘700; sorridiamo sulle menate fenicio-egizio-pelasgiche ottocentesche; soffriamo per i penosi strascichi del primo Novecento (fascismo, leggi razziali, ecc.); smaltiamo la decadenza da contagio e nepotismo dei lustri postbellici, forse ineludibile, che purtroppo continua fino a oggi e appare chiaro che non di vizi epocali s’è trattato ma di secolari “carenze vitaminiche”.
Questa sarda è da sempre una terra di rapina dove l’assenza di metodo è cronica (specie nelle dissimulate procedure d’indagine archeologica). ¡Si tratta, credo, d’intellettuali carrieristi, straniti per gli immeritati scranni su cui sono assisi! Forse però c’è anche altro…
…LEGGI L’INTERO ARTICOLO NEL N° 52
UN METODO PER L’ARCHEOLOGIA Leggi tutto »
E’ in edicola il numero 52 di “Sardegna Antica – Culture Mediterranee”
Puntuale come sempre arriva nelle edicole sarde il nuovo numero di “Sardegna Antica C.M.”, ecco il sommario:
“La Guerra più antica”
di Maurizio Feo
“Un metodo per l’Archeologia: “Spallate d’autore” o Faulabberu”
di Giacobbe Manca
“Eùploia! Antichi viaggi per mare”
di Maura Andreoni
“Linguaggio delle monete nelle antiche civiltà mediterranee” (2^ parte)
di Giovanni Enna
“Il tiro di Ulisse”
di Maurizio Feo
“Francesco Ignazio Mannu e la sarda rivoluzione 1793/96”
di Giuseppe Pischedda
“Vita da contrabbandieri, la Sardegna tra XVIII e XX secolo”
di Andrea Muzzeddu
“Borgo di Castello ai tempi della Plazuela”
di Pietro Martis
“Sardegna e Catalogna, linee di contatti culturali”
di Roberto Lai
“Il Ferro”
di Franco Romagna
“La Cena delle Anime”
di Ignazio Figus
E inoltre:
“Libri & Libri” a cura di Gonaria Manca
e le “Lettere al direttore”
Buona lettura!
Sommario
In questo numero:
“Architettura preistorica e Sindrome del Condottiero”
di Giacobbe Manca
“Orizines : novità sulla Genetica dei Sardi”
di Maurizio Feo
“Vultur, esegesi di un simbolo”
di Maura Andreoni
“La casa greca e romana”
di Franco Romagna
“La tomba dipinta di Mandras (Ardauli)”
di Cinzia Loi
“Il linguaggio delle monete antiche”
di Giovanni Enna
“Torri di guardia dell’Ogliastra e della Sardegna”
di Francesca Pandimiglio
“Fonti battesimali tardogotici”
di Gian Gabriele Cau
“Storia della bandiera dei Quattro Mori”
di Giuseppe Pischedda
“La rinascita dei villaggi nel 1600”
di Piero Martis
“Maialetto della Nurra”
di Ignazio Figus
e inoltre
“Libri & Libri” a cura di Gonaria Manca
di Giacobbe Manca
Studiare un edificio significa leggerne la propria funzionalità socio-economica. Esso rappresenta, insomma, una risposta concreta a precise esigenze della società che lo ha espresso, sia essa piccola o grande.
Che più spesso, poi, gli archeologi non riescano a “chiarire” in modo esauriente la funzionalità di un certo edificio preistorico è un fatto solo in parte legato alla difficile penetrabilità delle intenzioni degli uomini preistorici: più spesso si tratta degli ineludibili limiti di noi moderni… e non solo.
A ben riflettere, limitatamente alla varietà tipologica dei monumenti richiamati nel riquadro appare sempre che essi sono in un qualche rapporto con le isole, più o meno grandi.
Un rapido sguardo ad essi, prima ancora di una procedura scientifica, sembrerebbe di consentire, di ipotizzare, singolarmente, una sorta di rapporto inverso fra la dimensione delle isole e l’imponenza e il numero dei monumenti da esse espressi.
Il rapporto appare più marcato se si volesse fare un riferimento al relativo potenziale umano. Si pensi, per esempio, al “sese grande” di Pantelleria (minuscola isola) a confronto con i nuraghe arcaici a bastione e stanzine della Sardegna, sia pure di maggiori dimensioni: ma l’Isola è molto più estesa e doveva essere ben più popolata).
Si pensi, ancora, alla concentrazione monumentale nell’isola Minorca, ben maggiore di quanto si rileva nella più estesa Maiorca. L’argomento sopra accennato, ancora aperto, nasce da uno spunto colloquiale avanzato da Maurizio Feo, l’apprezzato autore di numerosi scritti in Sardegna Antica C.M. e di libri (pubblicati dal CSCM).
Di fatto, i manufatti antichissimi, esprimono sia le abilità di chi le ha realizzate, sia la loro partecipazione a conoscenze più ampie, proprie di un ambito antropologico ben più ampio.
Il sostrato culturale e gli intrecci di radici antiche vanno ben oltre l’orizzonte cantonale in cui i popoli vivono: un ambito tanto vasto
che può comprendere, in questo senso, tutte le terre che s’affacciano al Mediterraneo, per esempio.
Ci sono poi consuetudini ancora più generalizzabili, connaturate alla specie umana e alla sua plurimillenaria esperienza con i materiali messi a disposizione dalla natura: frasche, rami, pali, terra, argilla, pietre
dure, massi, lastroni, pelli, fibre, ecc..

Tutto poi risponde alle leggi naturali della fisica, per cui una procedura edificatoria può avere un senso e avrà futuro, o non averne affatto.
Dove non arriva l’intuito dell’uomo, sarà l’osservazione dei fatti naturali a portare soluzioni, giacché non può essere vinta l’intrinseca natura dei materiali e delle forze che li governano.
La possibilità di realizzare e regolare un’accumulazione primitiva di beni (per ampia disponibilità di cibo e strumenti) avrà effetti non solo sulla qualità della vita ma confluirà anche in opere di utilità comunitarie, persino impegnative.
La realtà architettonica espressa da un popolo sarà dunque conseguente al “potenziale” del territorio e alle sue capacità produttive. Insomma, è la cultura, l’economia, il grado di abilità tecnica acquisito (ovvero il complessivo grado di civiltà raggiunto da una popolazione, o da un clan sufficientemente numeroso, che si concretizzerà in una specifica architettura.
Ancora, è da credere che sarà l’esperienza, consolidata nelle soluzioni tecnico/costruttive tradizionali, ad attestare i differenti gradi di razionalità espressi o messi in atto negli edifici (e dunque “leggibili”).
Porre a confronto esempi delle diverse categorie di monumenti preistorici, evidenzierebbe il come in essi siano impliciti fattori riconducibili a realtà configurabili, sia nella demografia sia nell’economia.
Insomma, dal contenuto tecnico-architettonico osservabile in ogni monumento si potrebbero ricavare fondate ipotesi, sia sul successo demografico sia sullo sviluppo socio-economico ma anche sulle intime e generazionali “vocazioni” di un popolo preistorico.
Nell’inquadramento architettonico dei monumenti interviene, dunque, l’estensione territoriale, la specificità dei suoli e, appunto, l’economia di una data collettività che li ha prodotti.
É lapalissiano: vivere in zone sub-desertiche o paludose significa disporre di assai meno risorse rispetto a coloro che vivono in aree boschive o in pianure, ben più adatte alla produzione di cibo e mezzi.
Inoltre, dall’analisi attenta di un “tessuto” murario, si possono individuare non solo le tecniche ricorrenti ma anche le soluzioni costruttive (l’intelligenza), come pure l’intera sintassi o la filosofia costruttiva sottintesa in ogni singolo edificio: s’individua, in sostanza, la categoria cui ascriverlo e quindi si potranno esprimere convergenze o difformità con altri monumenti preistorici.

Col detto processo ermeneutico, dunque, si possono accrescere le conoscenze dei componenti distintivi contenuti nell’antica scienza del costruire (pensieri, criteri, tecniche), che sono impliciti nei monumenti detti e derivarne, pertanto, molte conoscenze correlate.
Individuare “comuni denominatori”, per dirla con l’aritmetica, può essere utile a rivelare parentele, progressi e convergenze.
Senza voler entrare in tecnicismi ardui, per dare un primo, semplice esempio, si potrebbe dire che tutti i monumenti preistorici sono realizzati a secco (ovvero non hanno malte aggreganti); che i massi concorrenti a siffatte opere, sono collocati solo in determinati modi e non in altri: parlo, insomma, della statica di muri che si possono definire logici, ben precedenti alla scoperta dei cementi e che, pertanto, prescindono da quel diverso criterio.
Si deve prendere atto che le richiamate costruzioni, che si conviene definire a secco, hanno regole precise che, ahimè, sfuggono in toto a troppi archeologi no- strani detentori di scranni e, pertanto, solo tale vuoto costoro possono trasmettere agli ubbidienti seguaci.
Da qui, a mio vedere, discendono i guasti infiniti (mancato progresso o enormi assenze conoscitive) che sono stati prodotti da certa letteratura fantastica (giustificata – a loro dire – dal “metodo storico”), che definisco insensata, ottocentesca o vuoto-velleitaria. Penso si possa giungere a dire che la filosofia tec- nico-edificatoria nella preistoria sia sostanzialmente una sola.
Dato un progetto preistorico in planimetria e in elevato, l’unica norma consta nel disporre i blocchi componenti i muri in modo nettamente stabile e concatenato: senza deroghe o cedimenti.
Non sembri questa una banalità, né cosa semplice, giacché l’evocata stabilità o solidità dei muri a secco (che si potrebbe assumere come proverbiale nel caso dei nuraghe, per esempio) pardossalmente appare uguale in tutte le varietà dei paramenti murari, siano essi concavi, lineari, verticali, aggettanti o arretranti, o, non è assurdo, persino convesso-aggettanti
…LEGGI L’INTERO ARTICOLO NEL N° 51
Architettura preistorica e SINDROME DEL CONDOTTIERO Leggi tutto »
Ha preso il via anche in Sardegna il progetto dell’Unione Italiana Sport per Tutti (UISP) “Archeogiocando: coprogettazione di percorsi sportivi nei siti archeologici per la fruizione attiva del patrimonio culturale”.
Il progetto ha valenza nazionale ed è finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nell’ambito della legge 383/2000 – F/2013. Le iniziative previste, da realizzarsi nelle Scuole Secondare di 1° grado, coinvolgeranno circa 500 ragazzi di nove località italiane: Aosta, Brescia, Fabriano, Gorizia, Matera, Ardauli, Perugia, Taranto, Trapani.
Obiettivo del progetto è quello di mettere a punto, attraverso un ciclo di laboratori sperimentali, una proposta educativa nuova, capace di favorire la valorizzazione e fruizione attiva del patrimonio culturale da parte dei giovani, basata sulla coprogettazione di percorsi sportivi nei siti archeologici del territorio.
L’idea è quella di proporre ai giovani, dai 10 ai 14 anni, modalità di fruizione del patrimonio culturale più stimolanti e motivanti, in particolare quella di esplorare le potenzialità dei siti archeologici del proprio territorio come spazi di aggregazione a carattere sportivo oltre che di interesse prettamente culturale, e di farsi attori di una progettazione dei percorsi sportivo-culturali negli stessi siti.
Gli sport scelti saranno anche frutto di una ricerca sugli sport delle origini (come il tiro con l’arco, la corsa, il salto in lungo), che sarà condotta a scuola come parte integrante del percorso laboratoriale. Laddove possibile, le attrezzature sportive saranno realizzate dagli stessi ragazzi.
Il sito prescelto per la Sardegna è quello della Tomba Dipinta di Mandras di Ardauli (OR), ipogeo funerario caratterizzato dalla presenza al suo interno di singolari elementi pittorici in ocra.
L’ipogeo di Mandras, pluricellulare dalla planimetria articolata, si apre alla base di un affioramento di tufo trachitico: accanto ad esso è presente il chiaro tentativo, probabilmente coevo, di escavazione di una seconda grotticella.
Al suo interno coesi- stono, oltre a quelle che richiamano semipilastri e finte nicchie, le rappresentazioni dipinte di due tipologie di soffitti: ellittica nell’anticella, a uno oppure a due spioventi con lati brevi arrotondati nella cella principale.
Il soffitto dell’anticella è segnato da sei travetti dipinti di rosso tre per lato che convergono verso una banda circolare appena visibile, interpretabile, forse, come il sistema di legatura dei travetti. Il soffitto della cella principale mostra invece la rappresentazione del tetto a uno oppure a due spioventi con lati brevi arrotondati reso da fasce di colore rosso. L’impatto più emozionante viene dal motivo dipinto “a reticolato” presente sulla parete d’ingresso e in parte su quelle laterali della cella principale, ottenuto con fasce orizzontali e verticali di colore rosso.
Il motivo a “reticolato”, allo stato attuale delle ricerche, per le dimensioni eccezionali e soprattutto per il fatto di essere reso tramite pittura, costituisce un unicum. Questa schematizzazione riprodurrebbe, pur con le riserve che s’impongono in assenza di confronti sicuri, l’intelaiatura delle pareti laterali della capanna preistorica costituita da pali sistemati sia in senso verticale sia orizzontale.
Non è escluso che all’interno della nostra domo de janas possano essere presenti altri elementi simbolici non più visibili a occhio nudo, soprattutto nella cella principale.
La Tomba di Mandras, sita superficialmente, non lontano dalla superficie esposta alle intemperie dell’affioramento, versa purtroppo in una situazione d’estremo pericolo, a causa di infiltrazioni
Articolo completo sul n.51
La Tomba Dipinta di Mandras Leggi tutto »