Lontano antefatto necessario
L’ufficio tecnico della Provincia di Nuoro progettò (inizio anni ‘60) e attuò lavori (ultimati nel 196x), per abbreviare la contorta strada statale ottocentesca 389, che da Nuoro porta in Ogliastra (allora si passava per Fonni). “Piccola manna” fu la bretella stradale da Genna ‘e Ferru (sbocco sull’altopiano se giungi da Mamojada), al Passo Caravai (verso l’alto valico di Correboi) [S.P. 2]. Non esisteva la nuova variante alla detta S.S. 389 (scorrimento veloce… ¡a due corsie!, con l’infinita galleria sotto il detto Correboi, e i sorprendenti viadotti di Navile (tra Orani e Mamojada), interminabili anch’essi. I progetti – per legge – furono analizzati dagli Enti preposti, si deve credere: tutela del paesaggio e dei monumenti… e da essi approvati, ipotizzo. Col procedere dei lavori, furono certo visionati tracciati, come le varianti (¿di quando in quando?) da tecnici preposti. Ora si percorra la cosiddetta bretella fino alla regione Madau (detta Gremanu negli anni ‘50 – per il rio omonimo – vedi G. Melis cartografo ed E. Melis, ingegnere), dove, manco a dirlo, ci fu una sorpresa (¿prevedibile?). Alla ruspa, lungo il tracciato, si opponeva un rialzo: col suo abbattimento si travolsero, dal culmine, alcune capanne da cui sortirono – “inattese” – alcune statuine (si parlava di tre bronzetti) e cocci di vasetti non descritti. Questo si può dire sulla base del racconto, divenuto ben presto segreto di pubblico dominio a Fonni. Il ventre delle capanne restituì (voce di Dio) reperti che, da natura e descrizione, desumo dell’Età del Ferro (dal IX – VIII sec. a.C. e più giù).
In quei frangenti, anche la t.d. giganti n. 1 dell’omonima necropoli, prossima al tracciato stradale (circa 10 metri), fu avidamente demolita dal lato orientale: sparì l’esedra, via il lato Est del corpo, con relative fondazioni. I blocchi derivati dalle distruzioni delle capanne e delle tombe di giganti furono “valorizzati”, dissero alcuni operai, come vespaio sotto la strada e nel ponticello vicino, per la costruenda strada [¡così si fa, a regola d’arte, con risparmio d’inerti!]. ¡C’è da restare basiti! ¿Come si possono affermare particolari così sconcertanti? È semplice: alle testimonianze (anche se omertose) si possono confrontare, sia la realtà attuale sia gli schemi planimetrici tramandatici dai due Melis (malgrado la grafica utilizzata riveli evidenti ingenuità tipiche dei comunque neofiti in archeologia). Una prima riflessione spinge a domandare: ¿Ma, non è stato ipotizzato che la soprintendenza sapesse delle opere in corso? Il progetto esecutivo avrà certo seguito sul terreno, come dalle carte, il tracciato della edificanda bretella. Perché mai si accettò che la strada sventrasse il rialzo con le capanne (bastava volerle vedere) e in ogni caso il tracciato è colpevolmente a ridosso della necropoli di tdg, già note in storiografia, come ben si doveva sapere.
Vedere un monumento quasi integro conforta e forse entusiasma visitatori di bocca buona, che con lo stesso buon gusto sarebbero eccitati dalla sfinge di cartongesso di un parco giochi alla Disneyland.
Qui a Madau come altrove l’umanità ha perduto qualcosa d’irripetibile. Analizzando utilmente i ruderi scampati allo scempio e sottoposti a violenze, moltissimi interrogativi resteranno senza risposte. Spostando ora lo sguardo dieci metri verso Nord-Ovest dal luogo dello scempio, troviamo radicata la tomba n. 2, la maggiore della necropoli: bella e – a un primo sguardo – “quasi integra” (molti s’illudono). Ben presto s’intuisce la realtà: questo monumento è stato “baciato in fronte”, in unità col grande padre dell’archeologia isolana postbellica, dalla soprintendenza (¡alla faccia della tutela!). Bella, si diceva: banalmente si osserva invece solo un brutto fac-simile dell’originale; tutte forme ben note già da decenni, ma non si capisce ancora, né si capirà facilmente, come fosse compiutamente composta, per esempio, sia questo tipo tombale sia la facciata di Madau n. 3, lì accanto. Mai sapremo, in particolare, dove e com’era collocato il blocco in forma di trapezio isoscele, fregiato dai consueti tre incavi appuntati a un margine della base minore. Insomma, sia dal punto di vista di un “ungulato” sia per la curiosità di un turista da spiaggia, o di un archeologo somaro o non preistorico, è questo un risultato apprezzabile (¡attingono alla giusta parte di rude non scienza, atta alla loro cervice!). Da un punto di vista scientifico e sostanziale, però, si tratta del ¡grottesco massacro di un monumento! reso ormai illeggibile; resta ¡un costoso e irreparabile danno culturale attuato da chi avrebbe dovuto difendere e studiare il monumento! alla luce di questa violenza inaccettabile, ha certo poco rilievo dire che i conci ritrovati sparsi davanti alla tdg (tutti autentici) siano stati collocati in grande numero e… sottosopra stigmatizzando per i posteri (parte dei responsabili sono morti e fra un po’ lo saranno tutti) l’evidente grossolanità dell’intervento. Nella parte absidale, dove ogni concio avrebbe dovuto essere esattamente ubicato (per esempio, a convergere nella forma ogivale dell’abside), il pasticcio è sommo.
Su tutto domina il prezioso cemento, patologicamente profuso in ogni angolino (horror vacui), a recuperare la statica di un monumento ben poco elevato, ampiamente garantita in origine dall’intelligenza nuragica, implicita nell’esatta collocazione dei conci embricati con arte sapiente e progressiva nelle diverse parti dei muri a due paramenti, a bell’apposta apprestati dagli antichi. Obnubilati dalla presunzione i detti “feudatari” dell’archeologia isolana (i Kric e Kroc della situazione) hanno giocato al Lego nella variante hard, la più megalomane e disdicevole: tutto con molta presunzione, nessuna conoscenza tecnica e cemento a gogò.
…forse questa inusitata, estemporanea e obnubilata volontà ricostruttiva fu – ma è solo un sospetto – un’impellente bisogno di cancellare le malefatte dell’impresa e dei c.d. burocretini autorizzati che non controllarono, come da norma…
Credo che ce ne sia già abbastanza, ma se si volesse dare uno sguardo alla tdg n. 3 si troverà non solo una rinnovata grettezza istituzionale, ma anche ampia conferma della perfetta incapacità dei detti operatori. Sfido gli archeologi cooptati a capire il monumento, ora inchiodato (crocifisso) da ulteriori carriolate di cemento, sia nei punti oggetto di ricostruzioni demenziali (a dir poco), sia laddove si osservano inaccettabili, kafkiane, ricostruzioni ispirate a… trappole per topi. Insomma, coloro che attuarono l’intervento qui analizzato (sia pure molto sveltamente – tralasciando volutamente i fatti tecnici) erano più che scellerati. L’intervento fu altamente irriflessivo, certo non accettabile né come restauro e ancor meno come anastilosi (l’unica consentita e possibile solo in casi specialissimi).
LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO SU SARDEGNA ANTICA N.59