Monte de S’Abe e i rapaci
Poco oltre la periferia, Sud-occidentale di Olbia, alle spalle dell’aeroporto e del castello Pedres, si può osservare ciò che resta di una bella, grandissima, tomba di giganti più spesso detta di Monte de S’Ape (ma è meglio dire S’Abe!).1
Si raggiunge facilmente, unitamente al nominato castello, dalla strada che da Olbia conduce a Loiri. Del monumento sepolcrale si osserva l’esedra lunata, ampia e incompleta come un sorriso segnato da incidenti, realizzata con una dozzina di lastre ortostate di diversa misura.
Il lungo corridoio tombale è reso con analoghe lastre e appare coperto solo molto parzialmente da pochi grossi blocchi residui, cilindroidi, in disposizione dolmenica e appaiati; esso è chiuso con una bella lastra fondale inusitatamente rotondeggiante e accuratamente lavorata nel contorno (con evidente incongruenza rispetto alla funzione rivestita), eccessiva per dimensioni e, infine, sensibilmente distante dal giro conclusivo dell’abside.
La tomba fu privata della sua bellissima stele che, certamente molto alta, l’ornava in facciata; la si deve immaginare canonica: ricurva in alto e segnata da cornici ai bordi e con un’analoga banda al centro.
Di essa resta solo lo spazio vuoto nel centro dell’esedra (come la cicatrice di un antico delitto) ad indicare una colpevole ignoranza e un’ingorda miopia, vagamente riconducibile agli inizi del secolo scorso, se non prima.
Si osserva in quel tratto centrale, appena più interno nel detto varco, il basso avvio del consueto corridoio d’accesso, curiosamente sovrastato da un piccolo architrave, incongruente con l’insieme e, per sua stessa postura, assai stridente, nella cui faccia inferiore è una concavità liscissima: un’areola di tipo ben noto, che per le sue peculiarità e per l’originaria funzione sacrale definisco “preghiera”.
Considerando l’insieme di tutti gli elementi concordi sopra indicati, quali lo stile dolmenico nell’esedra e nella camera, la grande stele arcaica in facciata (ora asportata, ma presente in antico: residua in un piccolo frammento basale in situ), si può certamente ascrivere questa tomba di giganti a quelle di realizzazione più antica e, pertanto, collocabile genericamente al Nuragico Arcaico.
Alcuni degli elementi sopra notati, però, lasciano fondatamente pensare che la tomba sia stata edificata (un fatto ricorrente anche in antico) nello stesso sito dove già esisteva un precedente monumento funerario, i cui componenti ricomposti (almeno alcuni, per quanto oggi osservabile) non lasciano dubbi.
Richiamo l’attenzione sulla notata, non proprio congruente, lastra fondale di camera, sulla sua notevole distanza dal muro absidale e, infine, sul piccolo menhir segnato da “preghiera” quale improbabile architrave del basso corridoio d’accesso alla camera: chiari elementi di riutilizzo.
Non potendo meglio sondare le strutture dell’edificio ci si limita a questi tre elementi, che personalmente ritengo molto significativi, ancorché mai siano stati osservati prima, né dall’archeologa che a suo tempo condusse lo scavo archeologico e non solo, né da quanti la “studiarono” in seguito o, meglio, ne ripeterono pedissequamente la planimetria e il riepilogo dei poveri risultati di scavo3 (che diede esiti romani e moderni, non meglio circostanziate ceramiche di “tipo nuragico” (?) e piccole anse “di tipo Bunnanaro”).
Altre pubblicazioni espressamente dedicate alla Gallura esprimono, nello specifico rimando ai monumenti funerari nuragici e, dunque, anche a Monte de S’Abe, posizioni assai epidermiche e annichilite sul dato quantitativo, con inadeguati e assai impropri rimandi bibliografici.4
Ha dell’infantile, ad esempio, l’osservazione “da luminare” circa fatti architettonici sovrapposti (e l’imman- cabile ripetizione pedissequa [vedi la nota precedente] per cui si avanza una comune sorte fra la tomba di Monte de S’Abe (Olbia) a quelle di Coddu ‘Ecchju e Li Lolghi (entrambe di Arzachena).
In quello scritto, si legge, infatti, che tutte sarebbero accomunate da aggiunte architettoniche su cosiddette allées couvertes originarie (sostanzialmente si dice che le camere delle tombe in origine sarebbero state dolmen allungati) trasformate in tombe di giganti: ma questo non è proprio vero e i tre monumenti
tombali richiamati hanno in comune solo lo stile dolmenico delle camere, oltre la richiamata connotazione (e quindi la cronologia) di tombe arcaiche (si ricorda, ad esempio, la cosiddetta stele “centinata” e l’esedra a ortostati).
In realtà quell’attribuzione di struttura composita notata è chiaramente corretta solo per la tomba di Coddu ‘Ecchju (che nel cuore custodisce una cosiddetta allée couverte) ma non per le altre due.
La tomba di Li Lolghi conserva “aggregato” nel tratto absidale l’intero dolmen allungato originario (in nessun
modo trasformato in corridoio di tomba di giganti, che ad esso viene invece addossata davanti, nel quadrante meridionale).
Ancora, il sepolcro di Monte de S’Abe ha caratteristiche del tutto diverse, mai messe in luce da cotanti analisti
esperti – maldestri ripetitori di pensieri e opere altrui.
Le peculiarità notate in quest’ultima, infatti, depongono certamente per una continuità nell’uso funerario del sito, ma con un totale rifacimento degli edifici più antichi, supposti e sfuggenti (fra cui non necessariamente una allée couverte), i cui esiti non sopravvivono “inglobati nel cuore”, come genericamente si vorrebbe, ma in mimetici elementi componenti, diversamente riutilizzati nel tempo (menhir come architrave, lastra di copertura riusata come ridondante pietra fondale) e con uno spazio/iatus troppo ampio tra quest’ultima e il giro absidale.
Questa insolita disposizione è spiegabile solo se si ammette che in quel tratto, in antico, poteva facilmente essere presente un piccolo dolmen (come a Li Lolghi (?) o magari una cista litica con peristalite (di cultura gallurese): tutto ormai spazzato via dall’antico rifacimento (e forse anche da altre manovre “scientifiche” ben successive), i cui elementi dovettero essere riutilizzati nella nuova tomba monumentale, quella che già è stata ascritta al Nuragico Arcaico (come anche molti altri esempi di tombe di giganti concorrono a confermare, oltre ogni dubbio).
Continua nel numero 40
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