La statuaria di Monti Prama – Aspetti e problemi (2)

seconda parte di due (segue dal fasc. n. 58)

Sulla base dei realia a nostra disposizione si tratta adesso di cercare di proporre una lettura di questo straordinario contesto, con tutte le difficoltà che comporta il cercare di leggere una situazione sinora unica, e quindi priva di confronti, con il rischio di sovrapporre nell’ interpretazione visioni derivate da altri ambiti culturali. A questi ci si potrà riferire per valutare dissimiglianze ed eventuali convergenze. Il primo elemento che si pone all’attenzione è la massiccia presenza di statuaria a figura umana di dimensioni ragguardevoli. Le statue non sono identiche fra loro sia nei dettagli che nelle dimensioni: le loro altezze variano da poco più di cm 180 a poco più di cm 200 anche nell’ambito della stessa iconografia. Solo considerando le statue più o meno ricomposte nel restauro terminato nel 2012 e quelle rinvenute successivamente siamo almeno a 30 esemplari, connessi con una necropoli disposta a fianco di un percorso stradale e caratterizzata da tombe coperte da un lastrone litico, messa in luce per una lunghezza di circa mt 80. Assieme si trovano modelli di nuraghe ed i betili che verosimilmente segnalavano gruppi distinti di sepolture. Un apparato monumentale ostentativo di grande rilievo che vede nella statuaria umana il suo aspetto più significante, e per cercare di comprenderlo appieno dobbiamo affrontare il complesso e dibattuto problema della sua cronologia.
Appare evidente che lo scavo della discarica in cui i frammenti scultorei sono stati rinvenuti fornisce dati solo sull’epoca di formazione della discarica stessa, che abbiamo già indicata tra il IV ed il III sec. a.C.. Al suo interno, considerate le modalità di formazione del deposito, si trovano ovviamente anche materiali più antichi che risalgono all’VIII sec. a.C. che indicano come la zona fosse frequentata in quel periodo. Le sepolture entro i pozzetti allineati lungo la strada si sono rivelate priva di corredo, tranne la tomba 25 Tronchetti, nella quale sono stati rinvenuti i resti di una collana con vaghi in pasta vitrea, cristallo di rocca, bronzo (tra cui un frammento della lama di una lunga e sottile spada, arrotondato e forato), e un sigillo scaraboide; il corredo è stato convincentemente collocato da Minoja nel corso dell’VIII sec. a.C. (Fig. 29).
Altri dati desunti dall’analisi stratigrafica interessano la situazione delle tombe più antiche, quelle spostate ad Est del filare monumentale. Ceramiche rinvenute sia in alcune sepolture che al di sotto di piccole massicciate in pietra che ricoprivano alcuni gruppi di pozzetti portano ad una datazione che oscilla tra la parte terminale del Bronzo Finale e la prima Età del Ferro, sembra con una maggiore presenza di oggetti riferibili a questa fase, che trovano un sostanziale riscontro cronologico con la datazione del vano B, cui abbiamo accennato sopra.

Sono stati poi condotti esami di datazione al 14C su resti ossei di alcune tombe. Quelli pertinenti alle sepolture degli scavi 1975-19793 direi che sono scarsamente affidabili, in quanto le ossa non furono prelevate con le indispensabili modalità di attenzione alla non contaminazione dei reperti, e la loro vita nei depositi, con vari spostamenti in contenitori non sterili, prima delle analisi rendono poco cogente l’arco cronologico indicato.
Ma anche i risultati delle analisi successive invitano alla prudenza. Sono state infatti effettuate numerose datazioni su reperti dalle tombe e dalla zona circostante che avrebbero dovuto fornire un arco di tempo di datazione assoluta. Purtroppo, come riconosce con obiettiva chiarezza Alessandro Usai, le risultanze di queste analisi vanno prese con molta, ma molta, cautela, per evidenti incoerenze. Ad esempio: due analisi ripetute sullo stesso reperto nello stesso laboratorio hanno restituito date distanti fra loro di circa 100 anni; le date offerte da tombe strati- graficamente omogenee sono risultate diverse tra loro; alcune datazioni sono poi assolutamente inattendibili, quale quella di una tomba a pozzetto del tipo più antico datata in piena epoca punica. Infine analisi sugli stessi campioni effettuate presso laboratori diversi hanno dato datazioni diverse. In questa situazione conviene rimanere ancorati ai dati offerti dallo scavo e dallo studio dei purtroppo pochi materiali rinvenuti, che restituiscono questa sequenza, ancora con larghe lacune, come se di un libro ci rimanessero l’indice, alcune pagine isolate e qualche gruppo di pagine consecutive, da cui ricavare l’intera storia.

È ovvio, ma appare opportuno e doveroso ribadirlo, che la ricostruzione presentata non pretende di essere “verità rivelata” fissa e immutabile. È solo un’interpretazione basata sui dati finora a disposizione e su quanto sappiamo dell’ideologia di diverse strutture sociali del Mediterraneo in questo ambito cronologico. Non è detto che future indagini non possano portare a modifiche e mutamenti, ma questo rientra nel normale processo scientifico: quanti più dati abbiamo, più siamo in grado di ricostruire le situazioni antiche, di cui riusciamo ad avere unicamente frammenti .

Miti e leggende moderne

Il grandissimo clamore mediatico suscitato dalle statue di Monti Prama deve la sua origine da diversi motivi ed ha avuto esiti differenziati, utili e corretti taluni, sinceramente discutibili altri. Non rientra nelle mie competenze discutere a fondo dell’aspetto sociologico della ricaduta del fenomeno Monti Prama nella situazione sarda contemporanea; questo travalica le mie conoscenze e chi è interessato al problema potrà utilmente leggere i migliori contributi apparsi su questo argomento ad opera di Roberto Sirigu. È opportuno, invece, fare chiarezza su alcune controversie e sfatare talune, molto diffuse, leggende metropolitane. Iniziamo dalla denominazione giganti per le statue, denominazione ampiamente contestata e di cui è stata proposta la sostituzione con eroi. Le statue sono gigantesche? In effetti no. Sono superiori alla statura umana (soprattutto di quel periodo) ma non sono gigantesche. Il significato di “giganti” non è riferito tanto all’apparenza fisica, ma a come venivano percepiti i defunti e la loro rappresentazione da chi attraversava la necropoli. Una diffusa diceria è la narrazione, da molti (troppi) condivisa, di come le statue siano state nascoste a tutti e occultate nei depositi del Museo di Cagliari per oltre trent’anni. Abitualmente si dice che ciò è stato fatto per tenere nascosta al mondo la scoperta più importante del secolo che illuminava la grandezza della civiltà sarda. In tutto ciò non esiste praticamente niente di vero…

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO SU SARDEGNA ANTICA N.59

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