Le epigrafi di San Pietro di Sorres e San Pietro di Oschiri
San Pietro di Sorres – 1221 L’epigrafe commemorativa
La cronologia dell’antica cattedrale di San Pietro di Sorres in agro di Borutta, tra le più eleganti e raffinate basiliche medievali della Sardegna, è stata oggetto di studio e terreno di confronto di numerosi studiosi sin dai primi del Novecento.
«Un impenetrabile silenzio avvolge l’origine e le vicende della Chiesa di S. Pietro di Sorres; non si conosce né il nome dell’architetto, né l’epoca in cui venne costrutta». Esordisce così, nel 1907, il regio soprintendente Dionigi Scano, che ipotizza che l’abbaziale benedettina sia stata costruita in un’unica soluzione, nel corso del xii secolo. Raffaello Delogu, sulla base dell’analisi formale delle strutture, individua due distinte fasi costruttive riferibili alla seconda metà dell’xi secolo, e una terza alla fine del xii. Dell’impianto più antico, resterebbe un tratto inglobato nel paramento meridionale; di un secondo, di qualche tempo più recente, distinto da fori pontai rettangolari disposti verticalmente, resterebbero tracce in tutte le quattro facce della chiesa, per una altezza di tre-quattro metri.
Ragionevolmente il Delogu confonde la chiesa di Sorres con il S. Antioco di Bisarcio, che ha i fori pontai quadrati solo nella parte superiore. In realtà, nei due fianchi del S. Pietro, sotto i fori pontai rettangolari si osservano gli stessi fori quadrati delle parti alte della chiesa, per cui è irricevibile l’ipotesi di una seconda fase alla fine del xi secolo. Lo studioso assume quindi una lunga sospensione dei lavori, il cui riavvio sarebbe conseguente le chiese pistoiesi sorte tra il 1160 e il 1170 e le chiese pisane erette entro l’ultimo decennio del secolo xii. Su questa base si dovrebbe ammettere che «i lavori, iniziati tra il 1170 ed il 1180, si concludessero prima dello spirare del secolo».
Un più attento esame permette – in questa sede – l’integrazione e la rilettura dell’epigrafe, scolpita su due righe in un volgare locale, in caratteri capitali, onciali e cifre arabiche. Ha uno specchio epigrafico di cm 56 x cm 18 e una altezza di caratteri compresa tra cm 3 e cm 7. Dopo una croce patente, con funzione dedicatoria e il nome del responsabile della fabbrica di Sorres «+ mariane maistro», insieme a poche altre lettere di complemento, l’iscrizione fissa – nel «1221» – l’anno di ultimazione dei lavori e di consacrazione dell’altare.
Al nuovo dato consegue un aggiornamento della cronologia della costruzione, che deve essere posticipata di circa un quarto di secolo, quando la chiesa fu completata o forse ricostruita tra la fine del xii secolo e il 1221, direttamente sul paramento di base di metà della seconda metà dell’xi secolo. Raffaello Delogu nel 1953 scriveva che «le sole maestranze capaci di realizzare simili volte [cupoliformi del S. Pietro di Sorres] sembrerebbero, nella Sardegna settentrionale del xii secolo, quelle francesi e, per la vicinanza geografica e d’ambito politico culturale, le stesse che voltavano la “galilea” del S. Antioco di Bisarcio».
San Pietro di Oschiri-1609 L’epigrafe della dedicazione
Alla periferia occidentale dell’abitato di Oschiri sorge, su un modesto poggio, una piccola chiesa seicentesca, eretta forse su un tempio bizantino già consacrato a San Pietro, da cui proverrebbe un reliquiario litico bivalve, oggi disperso, ma di cui resta una rara immagine e qualche nota bibliografica. Nell’architrave basaltica del portale di ingresso della chiesetta è scolpita, a basso rilievo, una inedita epigrafe in lingua latina e greca, in prevalente scrittura capitale epigrafica, insieme a cifre arabiche, a un numero romano e al disegno di una piccola colomba in volo. Ha uno specchio epigrafico di circa 160 x 30 cm e un’altezza dei caratteri compresa tra 7 e 15 cm circa. Non è di facile interpretazione per un buon numero di abbreviature per troncamento e maggiormente per l’anarchia dell’ortografia, sacrificata da un estroso lapicida per un bizzarro gusto estetico, teso alla rappresentazione di una struttura piramidale che converge verso una
croce mediana, forse evocativa del monte Calvario, per certo di una tensione verso l’alto, quindi di una ricerca delle realtà celesti e soprannaturali.
Al centro dell’epigrafe, entro un quadrato bordato di un listello, è il cosiddetto “Trigramma di San Bernardino” – “jhs” – una sorta di logo cristiano che, per alcuni autori, sarebbe abbreviatura per contrazione del greco per “jh[σου]ς” (“Jesûs” = Gesù), con una croce potenziata costruita sull’asta orizzontale della “h”, secondo uno schema introdotto dal Frate di Siena nel secondo decennio del xv secolo. Alla sinistra del quadrato, nella riga in basso, la cronologia della consacrazione della chiesa è introdotta da una “A” maiuscola, di un corpo ben superiore a tutte le altre lettere dell’epigrafe, e da una “d” minuscola, nell’insieme canonica abbreviatura di “a(nno) d(omini)”, accompagnate dalle cifre arabiche “16” (il giorno) e dal numero romano “x” (il mese). In simmetria, alla destra del quadrato, nella riga in basso, è il numero dell’anno – il “1609” – seguito da una croce greca potenziata, in luogo della croce patente, di norma riscontrata nelle epigrafi di consacrazione di un tempio. Così intesa, la cronologia – “ad 16 x † ihs 1609” – celebra, insieme al Gesù nel cui sacro nome è fatta la dedicazione, quel venerdì 16 ottobre del 1609 della intitolazione della chiesa…
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