N.58

Editoriale numero 58

Il Numero 58 della Rivista tratta finalmente un argomento a lungo sollecitato dai lettori di Sardegna Antica. Mira a un bersaglio molto ambito: un aggiornato chiarimento didattico-scientifico sulle statue di Monti Prama, cui si giunge dopo una “preparazione” sviluppata nei due numeri precedenti. Sarà – crediamo, immodestamente – un numero da collezione, unico e irripetibile, nel quale le Grandi Statue Sarde sono un argomento di gran peso, in tutti i sensi. Ad onta della sintesi, non tutto il ponderoso argomento ha potuto trovare posto in un unico numero. Alcune imprescindibili considerazioni conclusive seguiranno nel fascicolo n. 59.


Molte ipotesi popolari, false e strumentali, imprecise o favolistiche, troveranno definitiva confutazione in queste pagine, seppure esse fossero mai state credute vere in passato. Come sempre, ogni autore si assume la responsabilità culturale di ciò che afferma. Le argomentazioni proposte ci sembrano convincenti, e già questo sarà un merito: perché se, da una parte, è inaccettabile che Scienza e Storia siano piegate a interessi politici e/o commerciali, d’altra parte non si deve permettere che un tema culturale di vero interesse mondiale sia ridotto a strumento tanto provinciale e identitario da scadere in discussioni dai toni accesi e incongrui, coi tipici, rozzi modi dell’ignoranza più ingovernabile e sanguigna. I nodi culturali e cronologici, d’antica origine, sono personali dei singoli autori, come già detto.

Ci è sembrato giusto ripubblicare qui l’articolo originale, in Campidanese, con cui Giuanni Lilliu comunicò, nel 1983, per la prima volta in termini divulgativi, sia la scoperta delle statue sia i suoi significati “ufficiali”. Vale la pena perché del fascicolo, è giusto notare, si vendettero tante copie, ma non moltissime. [Per i pochi che non hanno consuetudine col sardo, la traduzione in Italiano è qui proposta, a fronte, a cura di G. Manca].
“Sardigna Antiga”, in origine, oggi Sardegna Antica C.M., nell’occasione dedicò alle Statue la copertina, che ricompare in queste pagine. ¿Troverà motivo di “pace” chi ancora sostiene un generale e voluto occultamento? Tuttavia, ¡resta pur vero che ci furono lunghi anni di attesa, tentennamenti e disguidi! Quel ritardo, semplicemente chiosa ed esemplifica le grandi difficoltà – non economiche! – in cui si dibatte tutta l’archeologia italiana e specialmente quella sarda, da tempo agonizzante.


Un inedito articolo di C. Tronchetti chiarirà persino ai non addetti ai lavori il motivo per cui noi riteniamo che egli sia da considerarsi “il vero scavatore” di Monti Prama. Altro è dire della misura in cui ciascuno è disponibile a condividere la collocazione culturale in un ancora seguito Nuragico lilliano, sospetto per longevità. Certamente lo scritto, di prima mano, sarà gradito anche agli esperti veri.

Un punto di vista personale, da parte di chi visse in prima fila quegli anni e quell’ambiente, sarà offerto da L. Scano, che poi si adoperò, col compianto Francesco Nicosia, già Soprintendente di Sassari, per dare una svolta al crescente malcontento. Lo Scano diede una spallata politico-economica e fece riemergere le statue dagli scantinati restituendoli allo studio e al mondo.
I risultati del pessimo restauro non sono certo a lui imputabili, quanto a chi fu incaricata di sorvegliare appalti e operazioni di restauro… e non lo seppe fare.

M. Feo proporrà un originale inquadramento classificatorio del fenomeno di Monti Prama, a conclusione dei due precedenti, fondamentali articoli, comparsi nei fascicoli 56 e 57, preparatori al presente.
In questo numero trovano continuità o compimento la riflessione “Archeologia e università” (maiuscolo e minuscolo intenzionali), di G. Manca e l’argomento geologico e paleontologico di A.A. Tronci. Altri temi d’interesse sono “Il culto dei morti” di G. Enna e la ricerca di Andrea Muzzeddu, sulla persistenza di riti antichi nelle prassi funerarie moderne.
Segnaliamo, per la penna di N. Bruno, l’assoluta novità di “Linguistica storica”: una critica distaccata, foriera di una stimolante proposta che darà vigore alla tormentata linguistica isolana.
Un’antica, multiforme divinità è richiamata nella recente ricerca su Giove Dolicheno della nostra M. Andreoni, affiancata dala studiosa F. Vecchi.
L’articolo di R. Lupieri Perissutti ci offre una ricca e aggiornata sintesi dell’evoluzione “per tappe rivoluzionarie”del genere umano, dalle australipitecine fino al Sapiens odierno.
Singolare è lo scritto scientifico di M. Fregoni, “Silvestrone sardo”, che dà notizia di un primato mondiale in Sardegna, toccato da un’insospettata essenza vegetale. M. Fregoni ci affida, con scienza specialistica, la meraviglia e il sorriso: ottimo viatico per la speranza anche in queste fasi travagliate.
Si chiude l’elenco delle opere e dei collaboratori per questo numero, indubbiamente speciale, rimandando i lettori anche all’unica breve recensione, di un libro particolare per il suo messaggio umano e affettivo.


È inutile elencare le difficoltà d’ogni genere affrontate (Archivi bloccati, Musei chiusi, Fonti e contatti indisponibili, impossibilità di fare ricerche sul campo, economia languente e seri problemi di salute di alcuni autori), che affliggono anche la Redazione, in questo infinito periodo di crisi sanitaria, economica e politica.
Valga per tutto solo notare il rammarico espresso alla redazione da C. Tronchetti per non potere accedere al migliore materiale fotografico, che avrebbe voluto accludere al suo scritto inedito.
Malgrado tutto, non s’interrompe la pubblicazione di queste nostre sudate e amate pagine, che – dalla provincia più interna della Sardegna – idealmente vogliono abbracciare unitamente i lettori, la cultura sarda e quelle mediterranee.

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Le grandi statue sarde

Monti Prama

Si deve ammettere che il ritrovamento delle statue fu purtroppo presentato nel modo sbagliato, fin dal principio. Nel 1974, un quotidiano sardo annunciava trionfalmente per la prima volta, ovviamente dopo avere ottenuto le notizie da qualcuno che aveva l’autorità di diffonderle:

“Si tratta di un probabile tempio punico, con colonne fittili e lignee, capitelli, grossi blocchi squadrati di arenaria e i resti di un lastricato realizzato con blocchi di basalto scalpellato. Solo uno scavo potrà chiarire la forma del monumento. Dagli elementi finora in possesso si può ipotizzare un tempietto quadrangolare, con quattro colonne in arenaria di cui sono stati recuperati quattro capitelli decorati e basi in arenaria e basalto in cui s’infilavano travi lignee”.

È già evidente nell’annuncio di allora tutto l’entusiasmo immaginifico di oggi: nulla di quanto asserito inizialmente fu in seguito confermato dagli scavi, ma la miccia di quanto sarebbe successo dopo era stata imprudentemente accesa. Nel 1977 Lilliu escludeva che le statue potessero essere funerarie: oggi ci si orienta esclusivamente verso questa ipotesi. In particolare, il “lastricato” non è mai stato rinvenuto e così il “tempio” (ma ci si ostina ad ipotizzarli possibili). I “capitelli” erano in realtà i c.d. “modelli di nuraghi” e i “grossi blocchi” vari costituiscono reperti sparsi ancora non compresi. Non si sono rinvenute “colonne fittili” e naturalmente nessuno può aspettarsi che le colonne lignee possano essersi conservate, però le si ipotizza. Infine, il sito è interamente sardo, anche se niente affatto “nuragico” e meno che mai punico.

È ormai necessario prendere le distanze da una situazione imbarazzante, in cui troppi non addetti parlano a sproposito, spesso con toni niente affatto degni della cultura, rendendo incomprensibile ai più ogni questione archeologica e storica.

Le grandi statue sarde sono solamente personaggi maschili. Sembrano anzi ispirarsi all’iconografia di alcuni “bronzetti” sardi: quelli che portano armi. In particolare, si tratta di guerrieri con spada, schinieri e scudo, di arcieri con arco, bracciale paracorda e cardiophilax e di una terza (e duplice) categoria che nei bronzetti è molto rara, mentre nelle statue è invece preponderante: i “pugili”. Il termine adottato è probabilmente inappropriato.

Chi fece le statue

Su questo argomento c’è un discreto consenso scientifico: si pensa che gli artigiani delle statue sarde fossero di cultura siriana. La prima causa di tale attribuzione è tratta dai numerosi motivi stilistici (gli occhi tondi e grandi, la loro vernice nera, le trecce fluenti, la stola sfrangiata sulla tunica, il bordo dentellato delle calze sotto gli schinieri: tutti della medesima origine orientale, di cui esistono molti esempi). Poi, esiste il dato storico di una fuga di artigiani dalle coste della Siria, effettuata su vettori Fenici, probabilmente all’epoca del loro primo arrivo in Sardegna. Ciò daterebbe lo sbarco degli artigiani nella seconda metà del IX secolo a.C.

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Archeologia e università Seconda parte

Nella prima parte di questo scritto faccio cenno all’inconsistenza dell’insegnamento archeologico all’università di Cagliari dagli anni ’60/‘70, ancorché esso fosse – per un arcano – ritenuto di qualità e di scienza avanzata. Sostanzialmente e formalmente esso era in chiara continuità col pensiero ottocentesco, solo accresciuto dall’esperienza del primo Novecento dell’iperattivo piccone di Antonio Taramelli, di prevalente impronta antiquaria e livello erudito, non compiutamente scientifico.
Era un clima in cui le sensazioni d’autore e la tendenza a romanzare la Preistoria s’alternava a sprazzi di velleità tecniche limitate alla descrizione generica delle planimetrie dei nuraghe e di sezioni verticali riassunte in oscure ogive, battezzate tholoi, alla greca: gergo snob, nella insulsa speranza di dare una collocazione aulica (roba per pochi accademici baroni) a un mondo preistorico, in nessun modo classico, bensì di tutt’altro e incompreso orizzonte culturale. Vuote parole, in sostanza, ma non passi concreti o decisivi verso la scientificità di cui questa disciplina aveva un estremo bisogno per nascere e decollare.

S’impone, dunque, una domanda lecita: ¿da dove provenne quel subitaneo – geniale e saccente – salto qualitativo apparso nel suo manuale universitario? – ¿da dove veniva l’autorevolissimo, indiscutibile e intoccabile Verbo in questione, tutt’altro che scientifico?

Gli errori erano tutti di certo Duncan Mackenzie, della perfida Albione. Ecco, dunque, la fonte… ¿ma chi era questa penna inglese, che nessuno degli studenti mai sentì insegnare nelle sue “profetiche” emanazioni? ¿Indagava strutture murarie? (¡che gusti da muratore!).

Tali interpretazioni, sottoposte, sul campo a verifica diacronica seria e concreta, oltre gli esiti negativi ebbe quello d’inchiodare la ricerca per alcune generazioni. È pure venuto meno uno degli obblighi imprescindibili dell’Archeologia: l’attenersi a un’interpretazione intelligente, quanto più possibile oggettiva dei reperti di scavo; a essa si sostituì, invece, la fantasia e la strategia politica.

Oggi, chi sostiene d’essere più scientifico si limita alla descrizione di reperti o monumenti in lunghi elenchi noiosi e sterili. Ma questa è archeologia descrittiva: siamo ancora lontani dall’attesa Archeologia Interpretativa o colta.

Gli scrittori ottocenteschi volti al Nuragico si moltiplicano e giungono a una cinquantina (da una conta di G. Lilliu), fra cronisti studiosi e colti, scienziati di tante discipline e osservatori non sempre estranei a intenti coloniali. Si può dire che prevalessero gli ecclesiastici ma, nella seconda metà dell’Ottocento, finalmente crebbero in buona percentuale le analoghe attenzioni di laici. Nessuno si sposta, però, dal detto pregiudizio egizio – fenicio cosmico, né da risibili riflessioni sul bisogno, velleitario e insopprimibile, di stabilire quale dovesse essere la “funzione dei nuraghe”, che non sapremo mai e – in ogni caso – proprio nessuno mostrò di poter studiare con raziocinio.

¿Condividere l’Archeologia postbellica?

Aderire oggi al “contenuto dell’archeologia negli atenei” in clima post-bellico è come accettare di vivere immersi in un clima tolemaico/aristotelico, governati da una “Santa Inquisizione”, amministrata con subdolo fanatismo religioso. Insomma, nessuna proposta né apertura scientifica: nessun Copernico avrebbe potuto rivoltare le concezioni sideree… ché la ragione non conta in certi climi; intanto si dovrà temere per il proprio futuro.
Pensiamo al tempo di quell’astronomo temerario (un polacco e magari pagano) dire che siamo noi, la Terra e le fissazioni dell’umanità, a inseguire il Sole in una pazza corsa cosmica: sarebbe blasfemo.

“¿Noi, dunque, ruoteremmo intorno a lui (il dio Sole) e anche attorno a noi stessi?…¡Dio che fantasia!” Non per dire ma, si rifletta, ¡lo vedono tutti che il Sole sorge a Est e tramonta a Ovest!

Le sacre scritture poi – ¿ma li ascoltate i vati del vero Dio? – dicono che quando Gesù spirò, il Sole si fermò nel cielo… e fu buio; dopo tutto intorno riprese a muoversi…

¡La mentalità “delle sensazioni”!

Dal XVIII secolo, ma ancor più nel XIX, gli accademici: ecclesiastici o parenti di nobili feudatari, vicini a quanti avevano per certo che fosse il Sole a muoversi nel cielo, hanno osservato casualmente, qua e là nell’Isola, strani edifici a forma di tronco di cono.
A cavallo o in carrozza, li vedevano sui rilievi, in specie, alti sulle valli, quali sentinelle dimenticate delle oscure tribù preistoriche.
Li vedevano d’impianto rotondo e forma troncoconica: ciò diede loro certezza che, al pari delle torri costiere aragonesi e sabaude, fossero sentinelle e presìdi per pericoli provenienti “dal mare”. Tutti così videro, nell’Ottocento, così nel Novecento ripeterono gli archeologi. Ancora, in virtù del declamato e disperatamente difeso “Metodo storico” e anche quello del Conviene uniformarsi

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La statuaria di Monti Prama – Aspetti e problemi

Monti Prama; gli scavi del 2014 con indicati i saggi Tronchetti 1979

La statuaria a figura umana rinvenuta nel sito di Monti Prama (Cabras-OR) nella Sardegna centro-occidentale è una straordinaria manifestazione della vitalità e creatività delle genti tardo-nuragiche dell’età del Ferro, che si può definire paradigmatica per lo studio e la comprensione dei complessi fenomeni di contatto, interazione, ibridizzazione, creolizzazione (a seconda dell’ottica e della terminologia usata dai diversi Studiosi) che avvengono tra i diversi popoli nel Mediterraneo.
Prima di affrontare questi problemi è opportuna una breve presentazione del sito, della scoperta e dei dati materiali su cui possiamo basarci.

Descrizione del sito

Monti Prama (il monte delle palme, così chiamato dalla quantità di palme nane spontanee, localmente chiamato anche Mont’e Prama, Monti Pramma italianizzato in Monte Prama) è un piccolo rilevamento che appartiene alla modesta catena collinare che si trova grosso modo parallela alla costa occidentale della Sardegna, immediatamente a Nord del Golfo di Oristano, e si colloca tra questa e lo Stagno (adesso laguna) di Cabras. Si tratta di un’area geografica assai favorevole all’insediamento umano, ricca di spazi per caccia e pesca, terreno fertile, pozzi di acqua, con la massiccia mole del Monti Ferru e le sue risorse minerarie poco più a Nord, possibilità di facile approdo e penetrazione nell’interno dell’isola sfruttando la comoda valle del fiume Tirso.
Anche solo limitandoci all’età nuragica, le testimonianze della frequentazione umana sono notevolissime. I nuraghi monotorri e pluriturriti costellano il territorio, culminando nel grande complesso del S’Uraki di San Vero Milis, poco più di una decina di chilometri a Nord-Est di Monti Prama.
In questa area, tra la fine dell’Età del Bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro, grosso modo tra il 1000 e il 900 a.C. per parlare in termini di cronologia assoluta, viene impiantata una necropoli, la cui ampiezza totale è ancora da definire, che presenta caratteristiche di assoluta novità rispetto alla tipologia sepolcrale diffusa nell’isola durante la precedente Età del Bronzo. In tale epoca le comunità nuragiche seppellivano i loro defunti inumandoli in tombe collettive, definite “tombe dei giganti”, segnalate abitualmente da betili lavorati in modi diversi, a secondo delle diverse zone dell’isola. Le tombe di Monti Prama, invece, sono tombe singole a pozzetto; anche le poche altre tombe note databili sicuramente nell’Età del Ferro si qualificano con assoluta prevalenza come tombe a pozzetto singolo, anche se sono attestate sporadiche tombe a cassone. Quindi siamo dinanzi ad un salto culturale notevole: dalla tomba collettiva alla tomba singola; ma vedremo dopo quali sono gli elementi di continuità tradizionale che ancora permangono.

Gli interventi di scavo

Nel 1974 alcuni contadini riconobbero, in un mucchio di spietramento nelle campagne del Sinis, una testa umana scolpita in pietra. Informate le autorità, il manufatto venne consegnato alla Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano e il Prof. G. Lilliu dell’Istituto di Antichità, Archeologia e Arte dell’Ateneo Cagliaritano, effettuò con i suoi colleghi ed allievi un piccolo saggio di scavo nell’area, rinvenendo alcuni frammenti di sculture. L’anno successivo il Dr. A. Bedini, Ispettore della Soprintendenza, realizzò una breve campagna di scavo, portando alla luce alcuni frammenti scultorei e parte di una necropoli, che sarà meglio descritta di seguito.
Nel 1977 le arature portarono alla luce altri frammenti di statue e fu deciso un intervento congiunto tra l’Università di Cagliari nella persona della Prof.ssa M.L. Ferrarese Ceruti, e la Soprintendenza Archeologica nella persona dello scrivente, per verificare con precisione la situazione e programmare una eventuale congrua campagna di scavo. I risultati delle tre settimane di indagini, in un piovoso dicembre, furono più che incoraggianti, e conseguentemente si richiesero al Ministero per i Beni e le Attività Culturali finanziamenti per lo scavo, che vennero assegnati per l’anno 1979.
Nel frattempo, per motivi sui quali non è il caso di tornare in questa sede, i rapporti tra la Soprintendenza e l’Università si interruppero e lo scavo fu affidato interamente alla responsabilità di chi scrive, con la preziosissima collaborazione del Sig. G. Saba, Assistente Tecnico di Scavo della Soprintendenza, che gestì come un orologio svizzero tutta l’organizzazione logistica del cantiere con i suoi operai, al quale parteciparono anche due giovani archeologi appena entrati in Soprintendenza (Dr.ssa E. Usai e Dr. P. Bernardini) e un laureando in Archeologia (Sig. R. Zucca).

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Numero 58 – I Semestre 2021

Disponibile da Aprile 2021, il nuovo numero 58 di Sardegna Antica

In prima di copertina: Iconografia pertinente le statue di Monti Prama con la copertina di Sardigna Antiga n.1 del 1983, che per prima parlò di statue.

Il Numero 58 della Rivista tratta finalmente un argomento a lungo sollecitato dai lettori di Sardegna Antica. Mira a un bersaglio molto ambito: un aggiornato chiarimento didattico-scientifico sulle statue di Monti Prama, cui si giunge dopo una “preparazione” sviluppata nei due numeri precedenti. Sarà – crediamo, immodestamente – un numero da collezione, unico e irripetibile, nel quale le Grandi Statue Sarde sono un argomento di gran peso, in tutti i sensi. Ad onta della sintesi, non tutto il ponderoso argomento ha potuto trovare posto in un unico numero.

Alcune imprescindibili considerazioni conclusive seguiranno nel fascicolo n. 59…

[………..] Leggi l’Editoriale completo di Giacobbe Manca

Sommario

  • La statuaria di Monti Prama – Aspetti e problemi – Carlo Tronchetti
  • Le grandi statue sarde – Maurizio Feo
  • Le statue di Cabras – Il contesto culturale – Lorenzo Spano
  • Is gherreris nuragicus de Monti Prama – Giuanni Lilliu
  • Giove Dolicheno – Maura Andreoni & Francesca Vecchi
  • Archeologia e Università – In attesa di Copernico e Galileo – Giacobbe Manca
  • Di rivoluzione in rivoluzione, da ominide a uomo – Rosanna Lupieri Perissutti
  • Forme di vita ancestrali e paesaggi esotici di Baunei- Antonia Angela Tronci
  • Sull’antico lamento funebre, tracce nel rito odierno – Andrea Muzzeddu
  • Riti e culti funerari nella Sardegna antica – Giovanni Enna
  • Linguistica storica – Nello Bruno
  • Silvestrone sardo, campione mondiale della Vitis silvestris – Mario Fregoni
  • Editoriale

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