N.37

I candelieri di Nulvi

di Franco Stefano Ruju

Fra le feste “de ispantu” che rendono la Sardegna ricca di tradizioni quella dei Candelieri di Nulvi occupa una posizione di grande rilievo.

Tanto per cominciare è una festa all’antica: ha la sua vigilia, la sua festa vera e propria e otto giorni dopo conserva ancora s’ottava che ne sancisce la chiusura.

Piatto forte de s’ispantu i suoi candelieri che candelieri non sono. Candeliere infatti per tradizione è una struttura che regge una candela e a Nulvi non c’è niente di tutto questo.
A sfilare, con tanta devozione e sacrificio, tre giganteschi “altari” di legno scolpito, di tre colori diversi: giallo il candeliere dei contadini, verde quello dei pastori, azzurro quello degli artigiani.

La tradizione è antica di secoli e dovrebbe essere nata al tempo dei pisani. Stando al condizionale, di quella antica tradizione, Nulvi, in quanto a forma, ne dovrebbe essere il testimone più autentico rispetto agli altri candelieri che sfilano in Sardegna.


Gli statuti pisani del 1200 e del 1300 prevedevano la consuetudine dei candelieri, decretavano il tanto di cera da esporre sugli stessi e indicavano la forma che le “macchine” dovevano avere. Il “candelo” doveva essere a “tabernacolo” e sullo stesso dovevano apparire immagini di santi e di angeli in “cera nuova”.


La cera, alla fine, veniva asportata e fusa per ottenere candele. Prima osservazione: a Nulvi di “quell’asportare” fino a pochi decenni fa era rimasto un labile segno di memoria passiva, l’usanza di distruggere, a fine festa, le facciate in cartapesta dei candelieri.


Le “reliquie” venivano contese e conservate un anno intero, poi bruciate e le ceneri disperse nei campi per renderli fecondi. Il voto pisano, comunque, era quello di offrire ogni anno un tanto di cera alla Madonna del “mezo mese di Gosto”, con o senza pestilenze da esorcizzare o lenire. A Sassari e a Ploaghe gli attuali candelieri sono a “fioretto”. Perché questa sostanziale differenza con Nulvi vista la probabile stessa origine devozionale? Pura disobbedienza alla regola imposta dai padroni?


Mistero! Quelli di Iglesias, essendo di recentissima ricostruzione, non possono rientrare nella disputa che riguarda la forma. Va detto però che loro sono candelieri per davvero in quanto ne hanno la struttura e in cima recano le candele. Oltremodo diverso il discorso di Siurgus Donigala.


In questo paese, ai primi di settembre, inizio d’anno “dell’era agraria”, per la natività della Madonna sfilano enormi candele di cera trasportate a braccia da singoli offerenti. Di questa usanza ne avevo parlato tanti anni fa in questa stessa rivista.


Come allora la stessa domanda: erano quelli i candelieri votivi prima che arrivassero i pisani? E sono sempre state candele di cera a sfilare oppure erano altro? Nuovo mistero!

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Economia delle antiche civiltà mediterranee

– seconda parte
di Giovanni Enna

1.2.2 – Civiltà ebraica
Secondo il libro della Genesi, la patria originale di Abramo era la città di Ur, nella Mesopotamia, dove forse visse all’epoca in cui la civiltà sumerica godeva degli ultimi bagliori di gloria.

Abramo, con il padre Terach, la moglie Sara e il nipote Lot, lasciò Ur per andare nel paese di Canaan , dove si stabilì dopo una breve puntata in Egitto, tra il secolo XX e XVI a.C. . Circa due secoli dopo il popolo ebreo trasmigrò in Egitto, chiamatovi da Giuseppe, figlio di Giacobbe.

Dall’Egitto tornò verso la Palestina nel secolo XIII a.C. sotto la guida di Mosè e di Giosuè. La conquista della terra di Canaan iniziò con il guado del fiume Giordano. La prima località raggiunta dalla tribù ebraica fu Galgala, a est di Gerico.

Alla morte di Salomone (sec. X a.C.) la monarchia unitaria genera due regni, Israele a nord e Giudea a sud. La scissione è accompagnata dalla decadenza, seguita poi dalla schiavitù di Babilonia.

Successivamente si ebbero fasi alterne di indipendenza (con rinascita dei due regni) e di dominazione straniera. Con la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.C., termina la storia millenaria dell’antico popolo ebraico in Palestina.

1.2.2.1 Sistema economico ebraico.
La natura del suolo palestinese (tranne alcuni lembi particolarmente fertili come la valle di Isreel, ai piedi del massiccio del Monte Gelboe) non permise agli ebrei di dare sviluppo soprattutto all’agricoltura, danneggiata dalla natura arida del suolo (contrariamente ai fertili terreni egizi e mesopotamici).

Le colture furono varie: frumento, orzo, fave, lenticchie, viti, olivo, melograno, mandorle, fico, sicomòro. Il fabbisogno alimentare veniva soddisfatto principalmente mediante la pastorizia e l’allevamento. Gli animali allevati furono in particolare buoi, cavalli, asini, cammelli, capre, pecore.

La scarsa disponibilità di generi alimentari impedì la specializzazione del lavoro nel settore terziario, quale l’artigianato, che rimase poco sviluppato rispetto ai popoli confinanti. Gli agglomerati urbani erano contraddistinti da una diffusa povertà. Lo stesso Tempio di Gerusalemme era un edificio di dimensioni inferiori rispetto alle grandi opere mesopotamiche o egizie.

Il re Salomone fu costretto ad avvalersi della cooperazione dei fenici, sia per procurarsi i materiali più pregiati (in particolare legno), sia per ottenere efficaci collaboratori sul piano tecnico. Fu necessario importare metalli da Cipro, dall’Anatolia, dall’Arabia, l’esportazione riguardò soltanto le eccedenze di grano, vino, olio.

Il regno di Israele non possedeva la conoscenza tecnica necessaria allo sviluppo del commercio marittimo su larga scala. Il nominato re, per far viaggiare le sue “navi di Tarsis” (tipiche imbarcazioni larghe, adatte per lunghi viaggi in alto mare) chiamò in aiuto gli esperti di Chiram, re di Tiro. Tarsis, situata nel Mediterraneo era probabilmente la Sardegna, dalla quale gli israeliti importarono argento, ferro, stagno, piombo.


Nel complesso l’economia del popolo ebraico (tranne la breve parentesi della prosperità ai tempi di Salomone e di David) si rivelò come una tra le più modeste di quelle dell’Antichità. Nel corso dei secoli, fino all’era precristiana, la vita lussuosa fu riservata ai ceti nobili.

L’accumulazione dei beni, seppure praticata da un ristretto gruppo sociale di persone, non faceva parte della cultura del popolo ebraico, pervaso dalla presenza divina. Tutte le norme tramandate dall’Antico Testamento confermano l’immagine di una società tesa al raggiungimento di un equilibrio etico – sociale , piuttosto che a quello dell’accumulo di ricchezze.

Nel vecchio Testamento e nelle successive raccolte di leggi e di interpretazioni, che costituiscono l’originale pensiero ebraico, si rispecchia la lotta tra la società tribale, caratterizzata da una proprietà comunitaria e da un’attività economica primitiva, e il processo economico impersonale di una società più complessa, divisa in classi e caste, basata in gran parte sulla proprietà privata.

Attraverso l’influenza spirituale dei profeti, si ebbero dei mutamenti nella struttura economica, con la condanna degli eccessi delle nuove classi commerciali, degli usurai (venne proibita la riscossione dell’interesse; tuttavia, la norma comportamentale della remissione dei debiti nell’anno sabbatico venne aggirata e annullata con la crescita dell’attività creditizia), dei predatori di terre.

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