di Giacobbe Manca
Studiare un edificio significa leggerne la propria funzionalità socio-economica. Esso rappresenta, insomma, una risposta concreta a precise esigenze della società che lo ha espresso, sia essa piccola o grande.
Che più spesso, poi, gli archeologi non riescano a “chiarire” in modo esauriente la funzionalità di un certo edificio preistorico è un fatto solo in parte legato alla difficile penetrabilità delle intenzioni degli uomini preistorici: più spesso si tratta degli ineludibili limiti di noi moderni… e non solo.
A ben riflettere, limitatamente alla varietà tipologica dei monumenti richiamati nel riquadro appare sempre che essi sono in un qualche rapporto con le isole, più o meno grandi.
Un rapido sguardo ad essi, prima ancora di una procedura scientifica, sembrerebbe di consentire, di ipotizzare, singolarmente, una sorta di rapporto inverso fra la dimensione delle isole e l’imponenza e il numero dei monumenti da esse espressi.
Il rapporto appare più marcato se si volesse fare un riferimento al relativo potenziale umano. Si pensi, per esempio, al “sese grande” di Pantelleria (minuscola isola) a confronto con i nuraghe arcaici a bastione e stanzine della Sardegna, sia pure di maggiori dimensioni: ma l’Isola è molto più estesa e doveva essere ben più popolata).
Si pensi, ancora, alla concentrazione monumentale nell’isola Minorca, ben maggiore di quanto si rileva nella più estesa Maiorca. L’argomento sopra accennato, ancora aperto, nasce da uno spunto colloquiale avanzato da Maurizio Feo, l’apprezzato autore di numerosi scritti in Sardegna Antica C.M. e di libri (pubblicati dal CSCM).
Di fatto, i manufatti antichissimi, esprimono sia le abilità di chi le ha realizzate, sia la loro partecipazione a conoscenze più ampie, proprie di un ambito antropologico ben più ampio.
Il sostrato culturale e gli intrecci di radici antiche vanno ben oltre l’orizzonte cantonale in cui i popoli vivono: un ambito tanto vasto
che può comprendere, in questo senso, tutte le terre che s’affacciano al Mediterraneo, per esempio.
Ci sono poi consuetudini ancora più generalizzabili, connaturate alla specie umana e alla sua plurimillenaria esperienza con i materiali messi a disposizione dalla natura: frasche, rami, pali, terra, argilla, pietre
dure, massi, lastroni, pelli, fibre, ecc..
Tutto poi risponde alle leggi naturali della fisica, per cui una procedura edificatoria può avere un senso e avrà futuro, o non averne affatto.
Dove non arriva l’intuito dell’uomo, sarà l’osservazione dei fatti naturali a portare soluzioni, giacché non può essere vinta l’intrinseca natura dei materiali e delle forze che li governano.
La possibilità di realizzare e regolare un’accumulazione primitiva di beni (per ampia disponibilità di cibo e strumenti) avrà effetti non solo sulla qualità della vita ma confluirà anche in opere di utilità comunitarie, persino impegnative.
La realtà architettonica espressa da un popolo sarà dunque conseguente al “potenziale” del territorio e alle sue capacità produttive. Insomma, è la cultura, l’economia, il grado di abilità tecnica acquisito (ovvero il complessivo grado di civiltà raggiunto da una popolazione, o da un clan sufficientemente numeroso, che si concretizzerà in una specifica architettura.
Ancora, è da credere che sarà l’esperienza, consolidata nelle soluzioni tecnico/costruttive tradizionali, ad attestare i differenti gradi di razionalità espressi o messi in atto negli edifici (e dunque “leggibili”).
Porre a confronto esempi delle diverse categorie di monumenti preistorici, evidenzierebbe il come in essi siano impliciti fattori riconducibili a realtà configurabili, sia nella demografia sia nell’economia.
Insomma, dal contenuto tecnico-architettonico osservabile in ogni monumento si potrebbero ricavare fondate ipotesi, sia sul successo demografico sia sullo sviluppo socio-economico ma anche sulle intime e generazionali “vocazioni” di un popolo preistorico.
Nell’inquadramento architettonico dei monumenti interviene, dunque, l’estensione territoriale, la specificità dei suoli e, appunto, l’economia di una data collettività che li ha prodotti.
É lapalissiano: vivere in zone sub-desertiche o paludose significa disporre di assai meno risorse rispetto a coloro che vivono in aree boschive o in pianure, ben più adatte alla produzione di cibo e mezzi.
Inoltre, dall’analisi attenta di un “tessuto” murario, si possono individuare non solo le tecniche ricorrenti ma anche le soluzioni costruttive (l’intelligenza), come pure l’intera sintassi o la filosofia costruttiva sottintesa in ogni singolo edificio: s’individua, in sostanza, la categoria cui ascriverlo e quindi si potranno esprimere convergenze o difformità con altri monumenti preistorici.
Col detto processo ermeneutico, dunque, si possono accrescere le conoscenze dei componenti distintivi contenuti nell’antica scienza del costruire (pensieri, criteri, tecniche), che sono impliciti nei monumenti detti e derivarne, pertanto, molte conoscenze correlate.
Individuare “comuni denominatori”, per dirla con l’aritmetica, può essere utile a rivelare parentele, progressi e convergenze.
Senza voler entrare in tecnicismi ardui, per dare un primo, semplice esempio, si potrebbe dire che tutti i monumenti preistorici sono realizzati a secco (ovvero non hanno malte aggreganti); che i massi concorrenti a siffatte opere, sono collocati solo in determinati modi e non in altri: parlo, insomma, della statica di muri che si possono definire logici, ben precedenti alla scoperta dei cementi e che, pertanto, prescindono da quel diverso criterio.
Si deve prendere atto che le richiamate costruzioni, che si conviene definire a secco, hanno regole precise che, ahimè, sfuggono in toto a troppi archeologi no- strani detentori di scranni e, pertanto, solo tale vuoto costoro possono trasmettere agli ubbidienti seguaci.
Da qui, a mio vedere, discendono i guasti infiniti (mancato progresso o enormi assenze conoscitive) che sono stati prodotti da certa letteratura fantastica (giustificata – a loro dire – dal “metodo storico”), che definisco insensata, ottocentesca o vuoto-velleitaria. Penso si possa giungere a dire che la filosofia tec- nico-edificatoria nella preistoria sia sostanzialmente una sola.
Dato un progetto preistorico in planimetria e in elevato, l’unica norma consta nel disporre i blocchi componenti i muri in modo nettamente stabile e concatenato: senza deroghe o cedimenti.
Non sembri questa una banalità, né cosa semplice, giacché l’evocata stabilità o solidità dei muri a secco (che si potrebbe assumere come proverbiale nel caso dei nuraghe, per esempio) pardossalmente appare uguale in tutte le varietà dei paramenti murari, siano essi concavi, lineari, verticali, aggettanti o arretranti, o, non è assurdo, persino convesso-aggettanti
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