Lettera al Direttore

Quartu S. Elena, 20.08.2003

Preg.mo Direttore,

innanzitutto mi complimento per la rivista, davvero testimonianza di libertà intellettuale e interesse culturale. In questo spirito, le segnalo – per i necessari approfondimenti e chiarimenti – la situazione dell’area presbiteriale della Basilica di Santa Giusta, che ho avuto modo di riscontrare qualche tempo addietro.

Confrontando gli “adattamenti”, conseguenti alla riforma liturgica del 1970, con i precedenti (ad esempio lo stato documentato nel volume di R. Serra, Italia romanica, La Sardegna, 1988, Ed. Jaca Book, foto 68 e 69), il risultato mi appare discutibile dal punto di vista teologico-liturgico e quantomeno inadeguato sul versante conservazione/proficua utilizzazione dei beni culturali.

Sono stati rimossi l’altare maggiore, il pulpito e la balaustra: ne ignoro l’epoca ed il valore artistico, mi limito ad osservare che quello attuale mi sembra artisticamente insignificante e comunque fuori scala rispetto al presbiterio, soffrendo così di eccessiva (in assoluto e in relazione alle incongrue dimensioni) prossimità alla navata.

Ben altrimenti dimensionato (e senz’altro di fattura migliore), risulta essere un antico altare (che ipotizzo sia quello rimosso dopo l’adeguamento), ora addossato alla parete della navata sinistra e ivi lasciato non restaurato e inutilizzabile a fini liturgici.

A favore di quest’ultimo giocavano tuttavia la dimensione contenuta (calibratissima sull’insieme del
complesso presbiteriale) e il suo essere situato in posizione gerarchicamente sopraelevata e in prossimità dell’abside, ma convenientemente staccato dalla parete.

Elementi tutti eminentemente qualificativi, atti ad esaltarne almeno in nuce la valenza teologico-liturgica: l’altare – in quanto icona spaziale e simbolo di Cristo altare, vittima e sacerdote – è, infatti, il culmine e la fonte sia della celebrazione eucaristica, come anche dell’intero organismo architettonico romanico, con la sua dinamica processionale dalla porta all’abside.
Il che depone per una maggiore sapienza teologica, artistica e architettonica degli antichi.

Nell’attuale assetto, la focalità strategica dell’altare, all’interno di questa peculiare dinamica processionale, risulta ulteriormente sconvolta dalla collocazione della sede presidenziale nella conca absidale, che diventa impropriamente il vero fulcro della celebrazione.

La rimozione del pulpito ha cancellato, poi, un altro elemento tipico della chiesa romanica: il luogo della proclamazione della Sacra Scrittura, posto a cerniera tra la navata e il presbiterio.

In sede di riadattamento, dovendo (?) asportare, sarebbe stato molto più saggio limitarsi al dossale e a parte della balaustra (naturalmente recuperandoli ad altra funzione degna ) e si sarebbe creata una situazione esemplare perfettamente in linea con le nuove norme ecclesiali.

La ristrutturazione, che nelle pie intenzioni voleva creare continuità spaziale e vicinanza, ha prodotto piuttosto una sorta di spazio indifferente e l’indifferenziato giustapporsi dei luoghi liturgici (e qui prescindo da altri punti dolenti, quali quelli dell’orientamento della celebrazione stessa e dell’idonea collocazione di Croce e Tabernacolo).

Il caso presentato non è, purtroppo, l’unico esempio di fraintendimento dell’articolazione e qualificazione teologicoliturgica delle chiese, antiche e meno: se ne dovebbe fare uno studio sistematico. Il travisamento coinvolge anche la stessa riforma postconciliare, soprattutto nella consapevolezza più matura che se ne ha ora.

A testimonianza di ciò, si leggano gli scritti dell’eminente liturgista (tutt’altro che nostalgico preconciliare!) Crispino Valenziano (Architetti di Chiese, 1995 Ed. L’Epos, Palermo; Scritti di estetica e di poetica,
1999 Ed. Dehoniane, Bologna), alla cui criteriologia mi sono ispirato.

Mi rendo conto della frammentarietà dei rilievi, mi auguro siano un germe di utile discussione e di ulteriori ricerche.


Con la più viva ammirazione,

Luigi Puddu –

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