La grande statuaria Italica
Inquadrato cronologicamente l’argomento generale, delineate le prime origini e la simbologia comune, oltre alle più antiche motivazioni primarie, si può finalmente affrontare quella parte del fenomeno espressivo artistico che riguarda la Statuaria Italica, con la speranza di comprenderla meglio nella sua fertile abbondanza e varietà.
I Piceni
“Piceni” è un nome esoetnico, tardo, imposto dai Romani e dai Greci (con la derivazione mitologica da “Pikus”, Marte): essi chiamavano se stessi “Safini” ed erano di lingua Osca, indoeuropea. Il “Safnio” – Sannio dei Romani – s’estendeva dai Monti Sabini ad Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata, fino alla Calabria. Avevano fama d’essere grandi guerrieri e mercenari molto affidabili. I Romani estesero il termine “Sabelli” agli Osco parlanti (Peligni, Vestini, Marrucini e Marsi), oltre che a popolazioni sannitiche (Sanniti, Frentani, Sidicini, Lucani, Apuli, Bruzi).
La popolazione italica dei Piceni era stanziata sulle coste del mar Adriatico. Di essa ci è pervenuta l’opera che per almeno 40 anni (dal 1934 al 1974) fu considerata l’unica rimasta e la più monumentale dell’arte italica: il guerriero di Capestrano, alto 223 cm e databile al VI secolo a.C.
“Dal 1934, quando fu scoperta, fino al 1974, data della scoperta delle statue di Mont’e Prama.
La statua calcarea, sorretta da due evidenti puntelli laterali, decorati da due lance incise, raffigura un guerriero a dimensione maggiore del normale, con gioielli ed armi da parata. Si tratta probabilmente della rappresentazione di un defunto illustre, posta come segnacolo per la sua tomba. L’anatomia della figura umana non è definita come nei kouroi greci, ma è più approssimativa, mentre molta più cura è stata dispensata nel raffigurare i dettagli come le armi, che sottolineano il rango e l’importanza del personaggio. Se ne parlerà di seguito più diffusamente.
La Puglia
In Puglia i Greci trovarono le popolazioni di Dauni, Peuceti e Messapi, organizzate in centri urbani dai vivi rapporti con le città elleniche sulla sponda opposta dell’Adriatico.
Tra le produzioni più significative di queste popolazioni ci sono le stele funerarie, come quelle trovate a Siponto. Scolpite in calcare locale nel VII secolo a.C., riportano varie decorazioni a graffito, che rappresentano il defunto con immagini poco naturalistiche, incorniciate da motivi geometrici.
Gli Etruschi
In Etruria, per propria fortuna geologica, erano presenti molte specie differenti di pietra: il marmo delle Alpi Apuane (che fu da essi trascurato, salvo eccezioni, fino ad epoca tarda), la pietra serena, l’alabastro di Volterra, vari tipi di tufo (tra cui il nenfro e la pietra fetida).
Così detta per via dell’odore sulfureo che emette, quando la si scalfisce.
Di conseguenza gli Etruschi avevano un’antica quanto grande familiarità con la pietra e certamente la sapevano lavorare. La usarono nell’urbanistica: prevalentemente nelle fondazioni, e nelle opere di difesa, che sono tutte tarde, con l’eccezione di Roselle (VII sec. a. C.). Gli alzati degli edifici erano realizzati in doppia palizzata di legno, riempita di ciottoli e poi intonacata, oppure in mattoni crudi d’argilla. Hanno sempre lesinato la pietra: per questo resta così poco della loro edilizia civile. Con la pietra – invece – identificavano volentieri l’edilizia funeraria: per questo le loro tombe hanno sfidato i secoli, tanto da sembrare a molti la loro unica realizzazione edilizia.
Tagliavano il tufo in mattoni e costruivano una volta ogivale autoportante, poi mettevano al centro, per sicurezza, un pilastro tanto imponente quanto superfluo dal punto di vista statico.
Dal V secolo non costruirono più le tombe con la pietra, bensì nella pietra: comparvero così le tombe a dado.
A “dado reale”, se con le 4 pareti in vista; a “mezzo dado” se solo con il fronte e due pareti laterali; a “finto dado” se presentavano solo il fronte, scolpito ed ornato