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Torri del silenzio

Finora è stato visto come sia particolarmente difficile – e spesso impossibile – ricostruire, con i soli strumenti dell’archeologia, le pratiche rituali e il pensiero filosofico-religioso, dei diversi popoli antichi, di cui non sono giunte tradizioni.

Non per giungere ad una verità, ma solo per individuare ipotesi plausibili riconducibili alla ricerca paletnologica, è opportuno rivolgersi alle diverse fonti dell’Antropologia.

Analogamente, il problema dell’interpretazione o della collocazione culturale, si pone anche per quei monumenti “nuovi”, insoliti e persino unici, che fortunatamente si possono ancora rinvenire, come l’allineamento di Ittiri oggetto di queste riflessioni.

Come detto nella prima parte, l’interpretazione quale raro “luogo del silenzio” del ben vistoso, ma finora inosservato, monumento a grossi poliedri ortostati di Sa Figu parrebbe trovare un forte sostegno nella realtà attuale dei Parsi, un’antica popolazione residente tra la Persia e l’India, dove s’insediò a seguito dell’avanzare dell’islam nel loro territorio d’origine.

Il nome “Parsi” deriva da Persi o Persiani e li individua come i discendenti di quell’antico e ben noto popolo del Vicino Oriente, la cui religione improntata al culto di Mitra (Mitra era il Sole e il fuoco), mostra ampie convergenze con i contenuti della mistica di Zarathustra (Zoroastro per i Greci) che si esprime nel culto alla sacralità degli elementi costituenti la Natura.

La componente messianica di questa religione finì anche per avere marcate ascendenze in una larga parte del popolo ebraico nella fase in cui fu deportato nella Babilonia di Nabuchadrezzar (o Nabucodonosor), (dal 586 al 538 a.C.), ma certo anche dalla lunga dominazione Assira (dal 538 al 332 a.C.).

Mappa di Babilonia secondo un’illustrazione della Encyclopaedia Biblica (Wikipedia)

Da quell’influsso, presente in un’importante componente dell’ebraismo, quella messianica della grande fucina mistica di Qumram, presso il Mar Morto, si avranno sensibili conseguenze nella predicazione cristiana. Analogamente, particolari contenuti della religione mitraica avranno esplicite e sorprendenti convergenze contenutistiche nella teologia cristiana.

Attestato estesamente in antico, il rito della scarnificazione – nelle sue diversificazioni potrebbe sembrare un fatto lontanissimo dalle consuetudini del terzo millennio e, ove sopravvivesse ancora, una pratica sconveniente di anacroni stici gruppuscoli, ancora agganciati alla preistoria.

La potente, chiusa ma moderna etnia dei Parsi vive a Bombay, dove ha una florida condizione economica basata su tecnologie avanzate. Detengono ampie aree boscate dove praticano la loro singolare prassi funeraria, secondo il loro credo religioso, il cui fondamentale imperativo è il rispetto della purezza degli elementi divini Terra, Fuoco, Aria e Acqua, quali fattori fondamentali della Natura e della vita.

Per questo la dissoluzione dei cadaveri non deve contaminare alcuno di questi componenti. La soluzione coerente è che i corpi dei defunti siano esposti alla solerzia dei numerosi avvoltoi – oggi allevati di proposito(4) , i quali per antichissima consuetudine sono richiamati ai bordi delle mura d’alte torri circolari.

Le dachmars, in occidente definite “torri del silenzio”, sono costruite al culmine di un’altura, e consistono sostanzialmente in un recinto lastricato, chiuso con pareti tali da impedire la vista di una così greve manifestazione, durante la quale, con una ben nota celerità determinata in concreto dal consistente numero di rapaci (meglio se oltre cento), le parti molli del defunto e non poche ossa minori ritornano direttamente a far parte del ciclo biologico della Natura, nel pieno rispetto della sua regola e della sua “purezza divina”.

Incisione di una torre del Silenzio zoroastriana (Wikipedia)

La collocazione in una dimora definitiva delle ossa avanzate avverrà in cimiteri preposti, dove tutti i componenti del gruppo umano si ricongiungono ai propri antenati e dove, i vivi abbiano un luogo dove “incontrare” e compiangere i defunti.


Immaginando anche contesti diversi e molto più lontani nel tempo, si può anche ipotizzare che non tutte le ossa fossero restituite dal frenetico e rissoso banchetto tenuto dagli avvoltoi e da altri rapaci, giacché è noto che alcune varietà di essi inghiottono le più piccole o spezzano le più grosse facendole cadere sulle rocce, per poi attingere al midollo o agli stessi frantumi.

É da credere che da un tale trattamento avanzino il cranio – se pure veniva esposto e non prelevato in precedenza per riservargli un rito specifico ,(5)
le ossa lunghe più pesanti, come i femori e le placche del bacino, oltre a parti della colonna vertebrale e molte costole…

Giacobbe Manca

L’articolo nel numero 32
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I candelieri di Nulvi

di Franco Stefano Ruju

Fra le feste “de ispantu” che rendono la Sardegna ricca di tradizioni quella dei Candelieri di Nulvi occupa una posizione di grande rilievo.

Tanto per cominciare è una festa all’antica: ha la sua vigilia, la sua festa vera e propria e otto giorni dopo conserva ancora s’ottava che ne sancisce la chiusura.

Piatto forte de s’ispantu i suoi candelieri che candelieri non sono. Candeliere infatti per tradizione è una struttura che regge una candela e a Nulvi non c’è niente di tutto questo.
A sfilare, con tanta devozione e sacrificio, tre giganteschi “altari” di legno scolpito, di tre colori diversi: giallo il candeliere dei contadini, verde quello dei pastori, azzurro quello degli artigiani.

La tradizione è antica di secoli e dovrebbe essere nata al tempo dei pisani. Stando al condizionale, di quella antica tradizione, Nulvi, in quanto a forma, ne dovrebbe essere il testimone più autentico rispetto agli altri candelieri che sfilano in Sardegna.


Gli statuti pisani del 1200 e del 1300 prevedevano la consuetudine dei candelieri, decretavano il tanto di cera da esporre sugli stessi e indicavano la forma che le “macchine” dovevano avere. Il “candelo” doveva essere a “tabernacolo” e sullo stesso dovevano apparire immagini di santi e di angeli in “cera nuova”.


La cera, alla fine, veniva asportata e fusa per ottenere candele. Prima osservazione: a Nulvi di “quell’asportare” fino a pochi decenni fa era rimasto un labile segno di memoria passiva, l’usanza di distruggere, a fine festa, le facciate in cartapesta dei candelieri.


Le “reliquie” venivano contese e conservate un anno intero, poi bruciate e le ceneri disperse nei campi per renderli fecondi. Il voto pisano, comunque, era quello di offrire ogni anno un tanto di cera alla Madonna del “mezo mese di Gosto”, con o senza pestilenze da esorcizzare o lenire. A Sassari e a Ploaghe gli attuali candelieri sono a “fioretto”. Perché questa sostanziale differenza con Nulvi vista la probabile stessa origine devozionale? Pura disobbedienza alla regola imposta dai padroni?


Mistero! Quelli di Iglesias, essendo di recentissima ricostruzione, non possono rientrare nella disputa che riguarda la forma. Va detto però che loro sono candelieri per davvero in quanto ne hanno la struttura e in cima recano le candele. Oltremodo diverso il discorso di Siurgus Donigala.


In questo paese, ai primi di settembre, inizio d’anno “dell’era agraria”, per la natività della Madonna sfilano enormi candele di cera trasportate a braccia da singoli offerenti. Di questa usanza ne avevo parlato tanti anni fa in questa stessa rivista.


Come allora la stessa domanda: erano quelli i candelieri votivi prima che arrivassero i pisani? E sono sempre state candele di cera a sfilare oppure erano altro? Nuovo mistero!

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Economia delle antiche civiltà mediterranee

– seconda parte
di Giovanni Enna

1.2.2 – Civiltà ebraica
Secondo il libro della Genesi, la patria originale di Abramo era la città di Ur, nella Mesopotamia, dove forse visse all’epoca in cui la civiltà sumerica godeva degli ultimi bagliori di gloria.

Abramo, con il padre Terach, la moglie Sara e il nipote Lot, lasciò Ur per andare nel paese di Canaan , dove si stabilì dopo una breve puntata in Egitto, tra il secolo XX e XVI a.C. . Circa due secoli dopo il popolo ebreo trasmigrò in Egitto, chiamatovi da Giuseppe, figlio di Giacobbe.

Dall’Egitto tornò verso la Palestina nel secolo XIII a.C. sotto la guida di Mosè e di Giosuè. La conquista della terra di Canaan iniziò con il guado del fiume Giordano. La prima località raggiunta dalla tribù ebraica fu Galgala, a est di Gerico.

Alla morte di Salomone (sec. X a.C.) la monarchia unitaria genera due regni, Israele a nord e Giudea a sud. La scissione è accompagnata dalla decadenza, seguita poi dalla schiavitù di Babilonia.

Successivamente si ebbero fasi alterne di indipendenza (con rinascita dei due regni) e di dominazione straniera. Con la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.C., termina la storia millenaria dell’antico popolo ebraico in Palestina.

1.2.2.1 Sistema economico ebraico.
La natura del suolo palestinese (tranne alcuni lembi particolarmente fertili come la valle di Isreel, ai piedi del massiccio del Monte Gelboe) non permise agli ebrei di dare sviluppo soprattutto all’agricoltura, danneggiata dalla natura arida del suolo (contrariamente ai fertili terreni egizi e mesopotamici).

Le colture furono varie: frumento, orzo, fave, lenticchie, viti, olivo, melograno, mandorle, fico, sicomòro. Il fabbisogno alimentare veniva soddisfatto principalmente mediante la pastorizia e l’allevamento. Gli animali allevati furono in particolare buoi, cavalli, asini, cammelli, capre, pecore.

La scarsa disponibilità di generi alimentari impedì la specializzazione del lavoro nel settore terziario, quale l’artigianato, che rimase poco sviluppato rispetto ai popoli confinanti. Gli agglomerati urbani erano contraddistinti da una diffusa povertà. Lo stesso Tempio di Gerusalemme era un edificio di dimensioni inferiori rispetto alle grandi opere mesopotamiche o egizie.

Il re Salomone fu costretto ad avvalersi della cooperazione dei fenici, sia per procurarsi i materiali più pregiati (in particolare legno), sia per ottenere efficaci collaboratori sul piano tecnico. Fu necessario importare metalli da Cipro, dall’Anatolia, dall’Arabia, l’esportazione riguardò soltanto le eccedenze di grano, vino, olio.

Il regno di Israele non possedeva la conoscenza tecnica necessaria allo sviluppo del commercio marittimo su larga scala. Il nominato re, per far viaggiare le sue “navi di Tarsis” (tipiche imbarcazioni larghe, adatte per lunghi viaggi in alto mare) chiamò in aiuto gli esperti di Chiram, re di Tiro. Tarsis, situata nel Mediterraneo era probabilmente la Sardegna, dalla quale gli israeliti importarono argento, ferro, stagno, piombo.


Nel complesso l’economia del popolo ebraico (tranne la breve parentesi della prosperità ai tempi di Salomone e di David) si rivelò come una tra le più modeste di quelle dell’Antichità. Nel corso dei secoli, fino all’era precristiana, la vita lussuosa fu riservata ai ceti nobili.

L’accumulazione dei beni, seppure praticata da un ristretto gruppo sociale di persone, non faceva parte della cultura del popolo ebraico, pervaso dalla presenza divina. Tutte le norme tramandate dall’Antico Testamento confermano l’immagine di una società tesa al raggiungimento di un equilibrio etico – sociale , piuttosto che a quello dell’accumulo di ricchezze.

Nel vecchio Testamento e nelle successive raccolte di leggi e di interpretazioni, che costituiscono l’originale pensiero ebraico, si rispecchia la lotta tra la società tribale, caratterizzata da una proprietà comunitaria e da un’attività economica primitiva, e il processo economico impersonale di una società più complessa, divisa in classi e caste, basata in gran parte sulla proprietà privata.

Attraverso l’influenza spirituale dei profeti, si ebbero dei mutamenti nella struttura economica, con la condanna degli eccessi delle nuove classi commerciali, degli usurai (venne proibita la riscossione dell’interesse; tuttavia, la norma comportamentale della remissione dei debiti nell’anno sabbatico venne aggirata e annullata con la crescita dell’attività creditizia), dei predatori di terre.

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Numero 37

Sommario:

| Arte dei Metalli
di Giacobbe Manca e Karmine Piras
| Origine dei bronzetti sardi – seconda parte
di Maurizio Feo
La visione del purgatorio
di Gian Gabriele Cau
| Le incisioni di Craminalana
di Nicola Dessì
Curren Vardia
di Franco Stefano Ruju
La civiltà Negletta – seconda parte
di Andrea Muzzeddu
Economia delle antiche civiltà mediterranee
di Giovanni Enna
Pere Garcia, vescovo di Ales
di Roberto Lai
È meglio morire che…
di Elena Nichiporchik
| Terremoti in Sardegna
di Nicola Borghero
| Misfatto a Monte Baranta
di Giacobbe Manca
| Contestualizzazione dell’arte rupestre dipintadi G. Nash, D. Meozzi, P. Arosio

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[Recensione] Mito di Mamoiada Archeologia, Pietre magiche, Antropologia

Come il titolo e il sottotitolo lasciano intuire, questo libro è suddiviso in più parti.

Nella prima, dopo le indicazioni territoriali, si procede dall’antichissimo giungere di un popolo del Neolitico medio nella valle di Mamojada che in questo “Eden” s’insedia stabilmente per dare origine ad una vicenda antropica, da un lato, singolare e in pari tempo parallela a quelle accaduta in altre contrade dell’Isola (come, si narra, dovette verificarsi lungo le valli del Tirso e del Cedrino, nelle valli ogliastrine o lungo altri importanti corsi d’acqua isolani).

Ciò che distingue quel popolo delle origini è la sua consuetudine di erigere stele e menhirs istoriati con simboli (cerchi concentrici, bastoncelli”, “preghiere” e coppelle tonde e vulvari) che l’autore, con un felice neologismo, definisce “fertilistiche”, in virtù della loro antica funzione magico-rituale.

Le seconda parte del libro ha un carattere internazionale, giacché segnala tutti i confronti oggi disponibili fra le pietre istoriate di Mamojada (le famose pietre magiche richiamate nella precedente opera dello stesso autore) con altre realtà europee e persino africane.

Dalla Scozia al Marocco, passando per il Northumberland (e con qualcosa di significativo anche in Nigeria), dall’Irlanda alla Svizzera, attraverso la Spagna e il Portogallo sono segnalati monumenti istoriati, strettamente confrontabili con questi sardi di Mamojada e dintorni.

La terza parte del libro è una ricca documentazione iconografica a colori (una sostanziale narrazione parallela e spunto per un futuro museo del paese) che annovera monumenti e oggetti archeologici, anche inediti, rinvenuti sia nella valle di Mamoiada sia nel resto dell’Isola e dell’Europa, a conforto dell’ipotesi di un’antica religione fertilistica, la cui individuazione in Barbagia, pone la Sardegna in un perfetto parallelo culturale col resto del mondo mediterraneo: altro che i ritardi culturali predicati da autorevoli pulpiti! 

Ancora, il testo è corredato da diverse appendici con indicazioni sui monumenti, risorgive ed altre realtà mamojadine, utili sostegni della narrazione globale del libro.

Infine, quattro mappe territoriali archeologiche a colori, con tavola cronologica dell’autore, offrono una diretta immagine dell’ubicazione dei monumenti presenti nella regione, distinti con differenti simbologie e colori, ascrivibili a tutte le epoche, dal Neolitico (fase delle origini documentate) fino al Medioevo.

Si tratta, dunque, di un libro composito, nel quale la narrazione scientifica è veicolata da una scrittura chiara e piacevole, affinché sia fruibile da tutti, dove i tecnicismi dell’archeologia lasciano il posto alla documentata visione antropologica: quello che dovrebbe essere il vero scopo dell’archeologia, frequentemente disatteso dalla generalità degli archeologi che spesso se non sempre si limitano a leggere i “cocci” e le ambigue stratigrafie o a dare generiche descrizioni di monumenti, talora vaghe e inadeguate.

Si legge come un romanzo ma è un libro di archeologia di nuova concezione, dove non è il monumento o l’oggetto scientifico al centro dell’attenzione, ma le persone e la loro vita sociale, economica e religiosa: tutto ciò che quei documenti importantissimi, giunti fino a noi, hanno saputo indicare.

Le “maglie” della narrazione sono più fitte e stringenti per i periodi più antichi e più larghe col procedere verso i periodi punico e romano, con cenni fino al Medioevo.

Dunque questo libro non è solo un’ennesima iniziativa editoriale indirizzata “al paese del cuore”, ma è un’impegnativa prova di paletnologia (ovvero di paleo-etnologia) dalle valenze generali, che in distinte parti affronta altrettanti aspetti, diversi ma strettamente correlati: dalla ricerca delle società antiche alle parentele europee delle affascinanti pietre istoriate, oggi attribuite ad una cultura barbaricina.

Da quell’argomentare discende che nella visione archeologica isolana non è più giustificabile una teoria dove l’Isola è chiusa in se stessa (tutto ciò che del Neolitico mostra una decorazione, ad esempio, veniva rimandato alla nostrana cultura di Ozieri), ma si hanno molti motivi per guardare ad orizzonti europei, ben più ampi, cosa già intuita per differenti elementi culturali del Bronzo Antico, quali la cosiddetta cultura Beacker e non solo.

La nuova opera di Giacobbe Manca è, in buona sostanza, la logica continuità culturale, in prioritaria chiave antropologica, del noto libro “Pietre magiche a Mamojada” (del 1999), che divulgò, fra l’altro, la grande novità delle pietre istoriate barbaricine o “fertilistiche”, ampliando in modo imprevisto e imprevedibile il quadro della preistoria isolana ed europea.

In chiusura propongo una notazione sul titolo, così sintetico e significativo insieme: Mito di Mamojada, sta per il percorso culturale individuato alla ricerca di un popolo che ha saputo conservare più di ogni altro nell’isola, retaggi di antichissime ritualità folkloriche.

É la ricostruzione sia pure parzialmente e necessariamente ipotetica (siamo in campo preistorico), ma ampiamente documentata della lunghissima e articolata epopea di un popolo mitico fin dalle sue origini, come l’archeologia dimostra.

In sintesi è un omaggio sia ai mamojadini e ai loro importanti antenati, sia ai Sardi nel loro insieme.

Franco Romagna

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Lettera al Direttore

Quartu S. Elena, 20.08.2003

Preg.mo Direttore,

innanzitutto mi complimento per la rivista, davvero testimonianza di libertà intellettuale e interesse culturale. In questo spirito, le segnalo – per i necessari approfondimenti e chiarimenti – la situazione dell’area presbiteriale della Basilica di Santa Giusta, che ho avuto modo di riscontrare qualche tempo addietro.

Confrontando gli “adattamenti”, conseguenti alla riforma liturgica del 1970, con i precedenti (ad esempio lo stato documentato nel volume di R. Serra, Italia romanica, La Sardegna, 1988, Ed. Jaca Book, foto 68 e 69), il risultato mi appare discutibile dal punto di vista teologico-liturgico e quantomeno inadeguato sul versante conservazione/proficua utilizzazione dei beni culturali.

Sono stati rimossi l’altare maggiore, il pulpito e la balaustra: ne ignoro l’epoca ed il valore artistico, mi limito ad osservare che quello attuale mi sembra artisticamente insignificante e comunque fuori scala rispetto al presbiterio, soffrendo così di eccessiva (in assoluto e in relazione alle incongrue dimensioni) prossimità alla navata.

Ben altrimenti dimensionato (e senz’altro di fattura migliore), risulta essere un antico altare (che ipotizzo sia quello rimosso dopo l’adeguamento), ora addossato alla parete della navata sinistra e ivi lasciato non restaurato e inutilizzabile a fini liturgici.

A favore di quest’ultimo giocavano tuttavia la dimensione contenuta (calibratissima sull’insieme del
complesso presbiteriale) e il suo essere situato in posizione gerarchicamente sopraelevata e in prossimità dell’abside, ma convenientemente staccato dalla parete.

Elementi tutti eminentemente qualificativi, atti ad esaltarne almeno in nuce la valenza teologico-liturgica: l’altare – in quanto icona spaziale e simbolo di Cristo altare, vittima e sacerdote – è, infatti, il culmine e la fonte sia della celebrazione eucaristica, come anche dell’intero organismo architettonico romanico, con la sua dinamica processionale dalla porta all’abside.
Il che depone per una maggiore sapienza teologica, artistica e architettonica degli antichi.

Nell’attuale assetto, la focalità strategica dell’altare, all’interno di questa peculiare dinamica processionale, risulta ulteriormente sconvolta dalla collocazione della sede presidenziale nella conca absidale, che diventa impropriamente il vero fulcro della celebrazione.

La rimozione del pulpito ha cancellato, poi, un altro elemento tipico della chiesa romanica: il luogo della proclamazione della Sacra Scrittura, posto a cerniera tra la navata e il presbiterio.

In sede di riadattamento, dovendo (?) asportare, sarebbe stato molto più saggio limitarsi al dossale e a parte della balaustra (naturalmente recuperandoli ad altra funzione degna ) e si sarebbe creata una situazione esemplare perfettamente in linea con le nuove norme ecclesiali.

La ristrutturazione, che nelle pie intenzioni voleva creare continuità spaziale e vicinanza, ha prodotto piuttosto una sorta di spazio indifferente e l’indifferenziato giustapporsi dei luoghi liturgici (e qui prescindo da altri punti dolenti, quali quelli dell’orientamento della celebrazione stessa e dell’idonea collocazione di Croce e Tabernacolo).

Il caso presentato non è, purtroppo, l’unico esempio di fraintendimento dell’articolazione e qualificazione teologicoliturgica delle chiese, antiche e meno: se ne dovebbe fare uno studio sistematico. Il travisamento coinvolge anche la stessa riforma postconciliare, soprattutto nella consapevolezza più matura che se ne ha ora.

A testimonianza di ciò, si leggano gli scritti dell’eminente liturgista (tutt’altro che nostalgico preconciliare!) Crispino Valenziano (Architetti di Chiese, 1995 Ed. L’Epos, Palermo; Scritti di estetica e di poetica,
1999 Ed. Dehoniane, Bologna), alla cui criteriologia mi sono ispirato.

Mi rendo conto della frammentarietà dei rilievi, mi auguro siano un germe di utile discussione e di ulteriori ricerche.


Con la più viva ammirazione,

Luigi Puddu –

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Indice per autori (nome e cognome)

Autori (dal Numero 41 al 51)

A

AA.VV.: Redazione- Promemoria per gli scrittori di Sardegna Antica N.42 – Pag 12
AA.VV.: Redazione di S.A.C.M.(a cura della) Centouno anni di crepuscolo N.43 – Pag 1
Alberto Fumi: G. Manca- Archeologia e società. Dorgali tra Ottocento e Novecento N.45 – Pag 12
Alberto Fumi: S’Impinnu (Il Voto) film di I. Figus e C. Zene N.47 – Pag 39
Alberto Fumi: “Ab origine” Ritorno alla terra – film documentario di I. Figus N.48 – Pag 39
Aldo Puddu: Micenei in Sardegna? Una lettura critica N.44 – Pag 37
Alessandro Atzeni e Sandro Garau: Nuraghes costieri N.44 – Pag 22
Alessandro Atzeni e Sandro Garau: Fori pontai dei nuraghe e paramenti murari N.46 – Pag 14
Alessandro Atzeni e Sandro Garau: Nuraghes “comunicatori” da Gorroppu a Gonone N.47 – Pag 22
Alessandro Atzeni e Sandro Garau: Tomba di giganti inedita a Quartu Sant’ Elena N.43 – Pag 34
Andrea Muzzeddu: Aulica Arte popolare e l’Estetica universale N.42 – Pag 13
Andrea Muzzeddu: Canto e tradizione; contributo Etno-Semantico N.42 – Pag 26
Andrea Muzzeddu: Identità di genere e cultura locale N.43 – Pag 27
Andrea Muzzeddu: Identità mediterranea (cum grano salis) N.46 – Pag 30
Andrea Muzzeddu: Le diverse matrici dell’identità N.47 – Pag 28
Andrea Muzzeddu: Pietro Peru; Mariangela;(Recensione) N.47 – Pag 31
Andrea Muzzeddu: L’Identità estrema N.48 – Pag 31
Andrea Muzzeddu: Matrici ed espressioni identitarie (1^ parte) N.49 – Pag 31
Andrea Muzzeddu: Matrici ed espressioni identitarie. Id. concettuale e comportamentale N.50 – Pag 26
Andrea Broni: Lettera al Direttore (sulle pubblicazioni archeologiche in Sardegna) N.43 – Pag 33
Angela Meloni Floris: Lettera al Direttore (studi su Grazia Deledda) N.43 – Pag 32
Anna Ghiani: Lettera al direttore (su Eleonora d’Arborea) N.42 – Pag 32
Anna Ardu: Il porto di Tharros – nuove ricerche N.48 – Pag 16
Antonio Sanna: Il Carnevale a Ottana ai tempi del Bentzon N.47 – Pag 26
Armin Frey: Magiche rocce Fertili: il potere delle rocce (scivoli della fertilità in Svizzera) N.43 – Pag 39

C

Cinzia Loi: Da una punta di freccia N.49 – Pag 10
Donatello Orgiu: L’Anno; il Sette e la Menorah N.45 – Pag 23

E

Elio Moncelsi: Ebrei in Sardegna- segni e disegni; Paolo Bullitta- Il Canonico Giovanni Spano N.46 – Pag 33
Ennio Porrino: I Shardana- gli uomini dei nuraghe N.46 – Pag 34

F

Ferdinanda Saderi: La storia di Geridu attraverso le sue monete N.46 – Pag 21
Francesca Ceci: Il Padre dei Sardi in una moneta N.50 – Pag 10
Francesca Pontani: C.I.M.A.: Il civico museo di Allai N.50 – Pag 31
Franco Romagna: La Cappella Sistina (terza parte) N.42 – Pag 18
Franco Romagna: Citania de Briteiros e lastre istoriate N.42 – Pag 13
Franco Romagna: I giganti di Monti Prama; l’Heeron “avrebbe cambiato la storia” N.43 – Pag 35
Franco Romagna: Michelangelo e la Sistina al V centenario N.44 – Pag 19
Franco Romagna: Guida al nuraghe Losa e alla Civiltà Nuragica N.44 – Pag 12
Franco Romagna: Il Bronzo N.45 – Pag 28
Franco Romagna: Visita al museo di Cabras N.45 – Pag 36
Franco Romagna: Aurum (l’oro) N.46 – Pag 18
Franco Romagna: Notizie & Novità- da San Giovanni del Sinis N.46 – Pag 32
Franco Romagna: Lapis Basanites N.47 – Pag 37
Franco Romagna: Argentum N.48 – Pag 36
Franco Romagna: Rame N.49 – Pag 36
Franco Romagna: L’abitazione nel tempo N.50 – Pag 24
Francesco Licheri: La scoperta di Ebla N.44 – Pag 25
Franco Stefano Ruiu: Sos tumbarinos de Gavoi N.42 – Pag 15
Franco Stefano Ruiu: Sos Cotzulados di Cuglieri N.42 – Pag 33
Frank Pittui: La festa e il santuario di Santu Gosome di Giave N.42 – Pag 16
Frank Pittui: (Redazione – a cura della -) Centouno anni di crepuscolo N.43 – Pag 1

G

Giacobbe Manca: Nuraghes e dinastie d’Hattusas N.42 – Pag 1
Giacobbe Manca: Sa Cova d’es Xot a Majorca (prima parte) N.42 – Pag 1
Giacobbe Manca: Cova d’es Xot e la Cronologia del Talayotico (seconda parte) N.43 – Pag 4
Giacobbe Manca: Mala-karruca; dolmen dei giganti N.44 – Pag 1
Giacobbe Manca: Domos de Janas e Domenico Lovisato (prima parte) N.45 – Pag 1
Giacobbe Manca: Domos de janas nell’immaginario collettivo (ultima parte) N.46 – Pag 7
Giacobbe Manca: Tiscali nel Nuorese N.47 – Pag 1
Giacobbe Manca: Doli Fichima n. 1 N.47 – Pag 6
Giacobbe Manca: Ovodda sui monti N.48 – Pag 1
Giacobbe Manca: Ottusangoli e fole- Per il progresso dell’Archeologia sarda N.50 – Pag 1
Giacobbe Manca: Il nuraghe Nolza visitabile all’interno (Redazionale) N.42 – Pag 17
Giacobbe Manca: M. Feo L’Ira degli Dei e i “popoli del mare” N.42 – Pag II cop.
Giacobbe Manca: (M. Tzoroddu- I Fenici non sono mai esistiti N.42 – Pag 33
Giacobbe Manca: Recensioni: N.42 – Pag 28
Giacobbe Manca: Recensioni: N.42 – Pag 32
AA.VV.: Racconti della Gallura e della Corsica (atti VIII premio Aggius) N.43 – Pag 26
Giacobbe Manca: Redazionale: Cleopatra e domos de janas N.45 – Pag 7
Giacobbe Manca: Redazionale N.47 – Pag 9
Giacobbe Manca: (Recensioni): N.42 – Pag 24
Giancarlo Pes: Le macchine idrauliche in Anglona N.42 – Pag 29
Giancarlo Pes: La ruota idraulica in Anglona e sua introduzione N.42 – Pag 18
Gian Franco Conti: Nel nome di Genoni N.46 – Pag 23
Gian Gabriele Cau: Il retablo di Santa Vittoria di Campudulimu N.42 – Pag 22
Gian Gabriele Cau: Architrave gotico-aragonese di Boroneddu (a. D. 1634) N.42 – Pag 22
Gian Gabriele Cau: Dorgali- Due campane per San Pantelénon martire N.43 – Pag 10
Gian Gabriele Cau: Il culto di San Pantaleo martire in Sardegna N.43 – Pag 14
Gian Gabriele Cau: Un monogramma indecifrato del Maestro di Castelsardo N.48 – Pag 34
Gian Gabriele Cau: L’iscrizione dedicatoria di Sant’Antioco di Bisarcio N.50 – Pag 34
Giovanni Enna: Sistema economico del Marchesato di Busachi N.42 – Pag 27
Giovanni Enna: Cenni dell’economia in Sardegna tra 1700 e 1800 N.42 – Pag 29
Giovanni Enna: Possibili nostalgie della lira N.43 – Pag 29
Giovanni Enna: Eccessiva tassazione e impoverimento dei popoli N.44 – Pag 14
Giovanni Enna: L’usura nel Medioevo N.45 – Pag 14
Giovanni Enna: Profili legislativi ed economici del Giudicato d’Arborea N.46 – Pag 25
Giovanni Enna: La crisi economica del 1929 e le ricadute in Sardegna e in Italia N.47 – Pag 32
Giovanni Enna: Origini della proprietà fondiaria in Sardegna N.48 – Pag 27
Giovanni Enna: La diga sul Tirso e il lago Omodeo N.49 – Pag 27
Giovanni Enna: Le grandi opere in Sardegna. La diga sul Tirso N.50 – Pag 19
Giovanni Masala: Un piano segreto per la sovranità N.45 – Pag 20
Gonaria Manca: Visita ai Giganti N.45 – Pag 29
Gonaria Manca: brevi recensioni Alberto Pozzi: Megalithism; Donatello Orgiu: la Dea Bipenne; Franco Diana Fonne-Onne; Marco Melis- Non volli dirti nulla N.44 – Pag 27
Gonaria Manca: brevi recensioni Mario Cubeddu (a cura) Sette ispadas de dolore; Mario I. Marras e Piero Martis: Sardegna: frammenti di memoria; Felix Carlinger- Sa musica sarda 1955 – Die Sardiske Musik N.45 – Pag 12
Gonaria Manca: brevi recensioni Nina Hiristowa; Cinquecento borchie e fibule medioevali; Cipriano Mele e Pina Mele. Pasquale Fancello Crodazzu; contadino minatore giornalista; Marco Melis: I Quattro mori e la dea N.46 – Pag 20
Gonaria Manca: brevi recensioni Giovanni Bitti- I sacerdoti e le diocesi; Marcella Corda Chiesa e società in Ogliastra tra Ottocento e Novecento; Paolo Bullitta- Le torri di Cagliari N.47 – Pag 38
Gonaria Manca: brevi recensioni Giovanni Podda- A sa preta a sa linna e a su mare N.48 – Pag 24
Gonaria Manca: brevi recensioni Cesare Casula- Viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna N.49 – Pag 21
Gonaria Manca: brevi recensioni Paola Cannella e Massimo Rassu- Fonti e Pozzi sacri N.50 – Pag 23
Giuseppe Carzedda: Oschiri e il Castrum Luguidonis: crocevia di merci soldi e soldati N.49 – Pag 16
Giuseppe Carzedda: Oschiri e il Castrum Luguidonis: (seconda parte) N.50 – Pag 16

I

Ignazio Figus: Sa chida de Perfugas N.49 – Pag 38

L

Lisa Swart: Libu- Popoli del Mare e il Silfio N.48 – Pag 11
Luigi Agus: Il retablo di Fonni e il maestro di Ardara N.44 – Pag 28

M

Maria Luisa Careddu: Recensione Andrea Atzori- Iskida della terra di nurak N.43 – Pag 20
Mario Cubeddu: Lettera al Direttore (sulle false maschere di Cuglieri) N.44 – Pag 13
Marco Milanese: Siligo: villaggio medievale e post-medievale N.45 – Pag 34
Matthias Winkler: Costantino il Grande- 1700 anni dopo “Ponte Milvio” N.43 – Pag 21
Matthias Winkler: Sofferenze degli Ebrei (1^ parte) N.44 – Pag 31
Matthias Winkler: Sofferenze degli Ebrei (2^ e ultima parte) N.45 – Pag 31
Matthias Winckler – Notizie dal Web- I giganti della narrazione biblica nelle Alture del Golan? N.46 – Pag 20
Matthias Winkler Lettera alla Redazione (il rito molk raccontato e la Bibbia) N.47 – Pag 30
Maurizio Feo: Verità di un tabù e mistero di un mito N.42 – Pag 7
Maurizio Feo: Archeologia al femminile N.42 – Pag 34
Maurizio Feo: Appunti di navigazione (prima parte) N.42 – Pag 7
Maurizio Feo: Cannibalismo tra gli animali (segue al N.42) N.42 – Pag 12
Maurizio Feo: Appunti di navigazione (seconda parte di tre) N.43 – Pag 16
Maurizio Feo: Appunti di navigazione (terza e ultima parte) N.44 – Pag 8
Maurizio Feo: Recensione: Guida al nuraghe Losa e alla Civiltà Nuragica di G.M. N.44 – Pag 12
Maurizio Feo: Paleo-dieta dei Sardi preistorici N.45 – Pag 8
Maurizio Feo: Neander Thal: origine di un nome N.46 – Pag 1
Maurizio Feo: Giacobbe Manca- Archeologia e Umanità- Dorgali tra Ottocento e Novecento N.46 – Pag 35
Maurizio Feo: Fadda e Giovanna Salis- Sa Sedda ‘e Sos Carros N.46 – Pag 35
Maurizio Feo: La comunicazione in Archeologia N.47 – Pag 11
Maurizio Feo: I suoni del passato N.47 – Pag 14
Maurizio Feo: Gli inganni della percezione (pareidolia) N.47 – Pag 18
Maurizio Feo: La Malaria in Sardegna N.48 – Pag 21
Maurizio Feo: Curiosità Archeologiche dal Web: L’uomo che comprò Stonehenge N.48 -10
Maurizio Feo: Archeologia in Sardegna N.49 – Pag 26
Maurizio Feo: Ciarlatani sardi dell’Archeologia N.50 – Pag 14
Maurizio Feo: Curiosità archeologiche: L’Ercole Italico e la poppa di Uni N.50 – Pag 13

N

Nicola Enna: Spagnolismi e catalanismi nella lingua sarda parlata a Busachi (1^ parte) N.49 – Pag 30
Nicola Enna: Spagnolismi e catalanismi nella lingua sarda parlata a Busachi (2^ parte) N.50 – Pag 29

P

Paola Cannella: Il tempio illuminato: Santa Maria di Uta N.45 – Pag 37
Paola Cannella: Il tempio illuminato. Santa Maria di Uta e la teologia religiosa N.46 – Pag 37
Paola Cannella: Le chiese illuminate di Settimo San Pietro N.49 – Pag 36
Paolo Casiraghi: Un Museo “a domicilio” N.48 – Pag 37
Paolo Lombardi: Giorrè di Florinas- un recupero inaspettato N.50 – Pag 32
Piero Martis: I mattoni del Sol di Maggio N.47 – Pag 36
Piero Martis: Le nostalgie di Damaziano N.49 – Pag 35

R

Roberto Manconi: Pradu ‘e Lassia (Birori): una tomba per archeologi N.49 – Pag 14

Indice per autori (nome e cognome) Leggi tutto »