Fonti battesimali tardogotici di Ardara e Bisarcio
Il recupero di antichi arredi liturgici nella basilica di Santa Maria del Regno di Ardara, tra questi il pulpito recentemente ricollocato a destra della navata, in prossimità dell’altare, ha ridestato nuovo interesse per la tutela anche di manufatti di cui si è persa memoria storica.
Così, nel maggio scorso, in occasione della festa della Patrona massima della diocesi di Ozieri, si è avuto modo di ritrovare tra le colonne dello stesso pulpito, proprio lì dove, in passato, a memoria d’uomo pare sia sempre stato, un massiccio blocco di calcare bianco, artisticamente lavorato.
La notizia del rinvenimento degli antichi fonti di Ardara e Bisarcio è stata anticipata, in forma giornalistica, in Ritrovamento: I fonti battesimali di Ardara e Bisarcio (I-II-III parte), «Voce del Logudoro», a. lxv (2016), nn. 21-23, pp. 5.
Secondo una tradizione locale, raccolta da Tonino Cabizzosu già parroco del paese, su quel qualcosa di non meglio definito, volgarmente riconosciuto come parte di un altare, avrebbero prestato giuramento numerosi giudici di Torres, che in Ardara elessero la capitale del regno.
L’ipotesi, per quanto affascinante e suggestiva, è poco credibile per la sopravvivenza di talune ornamentazioni tardogotiche sul manufatto, che lo collocherebbero in epoca postgiudicale. Appare certo, invece, che, per giusto rispetto di quella sua presunta funzione liturgica, suor Flavia Pigliaru, da sempre attenta alle storiche pertinenze della chiesa, in conseguenza dello smantellamento del pulpito l’abbia ritirato e religiosamente custodito per qualche decennio, nel retrostante asilo infantile.
Da una prima analisi, il grosso blocco monolitico (diametro cm 75 x cm 43 di altezza) rivela un taglio impostato per una precisa geometria a sezione trasversale ottagonale e longitudinale trapezoidale ‘a calice’, oggi compromessa da un’ampia sbrecciatura e dalla perdita di una distinta porzione complementare di circa tre ottavi. Quest’ultima in origine era stretta al superstite corpo principale di cinque ottavi da lunghe grappe forse di ferro, ormai perdute, che hanno solcato la sezione longitudinale posteriore della pietra con un disegno a ‘M’.
Non si è a conoscenza, al momento, di altri bacili scavati su due conci accostati. Per una certa friabilità della pietra, non si esclude che il concio, forse in origine monolitico ottagonale, possa essersi fratturato in corso d’opera, in fase avanzata di lavorazione e per questo risarcito della parte lesionata
Nel piano superiore del concio, come una sorta di – si passi il termine – improprio ‘abaco ed echino’, è sbozzata una conca di 40 cm di diametro, per una profondità massima di circa 8 cm, atta a contenere un bacile asportabile per il ricambio dell’acqua, forse in rame, piuttosto che le reliquie di un altare, di norma alloggiate in un sepolcreto quadrangolare.
Un primo elemento di conforto di questa pista d’indagine, che si propone di dimostrare che quel che resta è porzione di un fonte battesimale tardogotico sardo-catalano, giunge da Edouard Urech che ricorda come «nell’epoca del gotico ogivale le vasche divennero sempre più piccole: da rotonde che erano, divennero ottagonali e furono erette su uno o più supporti».
Ma il binomio otto / fonte battesimale è ben più antico e lo stesso s. Ambrogio, a proposito dell’architettura ottagonale dell’aula del battistero, ricorda come nel numero otto si sia tradizionalmente evocata l’ogdoade della riconciliazione con Dio, «perché ai popoli venne concessa la vera salvezza, quando all’alba dell’ottavo giorno, Cristo risorse dalla morte».
In Sardegna, l’intuizione del Vescovo milanese trova un primo riscontro nella vasca ottagonale per il battesimo ad immersione, a destra del sagrato del santuario di S. Lussorio presso Fordongianus, databile ad un’epoca successiva allo stato di abbandono in cui cadde l’antico luogo di culto nella prima metà del vii secolo.
Non solo, la stessa scelta di una pietra di un calcare bianco, in una chiesa, S. Maria del Regno, per il resto caratterizzata dal nero della scura trachite, è concordante con il bianco emblema di purezza6 e, quindi, del candore adamitico ritrovato nel più fondante dei sacramenti.
In ognuna delle cinque facce superstiti (largh. cm 23 x alt. cm 27), scandite da sei pilastrini gotici a sezione triangolare, sopravvive una ricca cornice del tipo di quelle delle predelle dei coevi retabli tardogotici sardo-catalani della basilica (prima metà sec. xvi), accostabile in qualche modo, per restare in ambito isolano, a quella ben più semplice del basamento del fonte battesimale tardo plateresco della parrocchiale di San Sebastiano di Sorradile del 1697.
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