Sul finire del XX secolo, nuove tecnologie si sono affacciate sempre di più nel mondo dell’archeologia: si è passati da rilievi fatti con carta, matita, e l’ausilio della cara livella a bolla, ai più moderni sistemi di fotogrammetria. Sembra ieri, quando ancora insegnavano all’università l’uso degli stereoscopi ottici per sovrapporre tra loro due foto aeree ed avere l’idea (anche se molto enfatizzata) di come fosse un territorio visto dall’alto. Oggi è invece diventato quasi
banale utilizzare per qualsiasi ricerca, sia scolastica che a più alti livelli, foto satellitari (si pensi al semplice google maps) o anche dei “normali” droni.
È ormai alla portata di tutti essere in grado di produrre una ricostruzione 3D da delle semplici foto, o anche da un filmato: ricostruzione che poi è possibile stampare fisicamente (mediante la stampa 3D) e rendere quindi tangibile. Non si tratta più di semplici riproduzioni, ma della copia esatta di un originale, talvolta identica anche nel peso e nel materiale, o nella “texture” (la superfice esterna dell’oggetto, ma anche consistenza, densità, grana).
Queste procedure erano impensabili anni fa, quando ancora si effettuavano le copie sugli originali (una pratica ormai bandita definitivamente), immaginate il rischio e la difficoltà nel fare, ad esempio, una copia di un bronzetto, di una statuina di dea madre (si pensi alle copie in gesso delle “veneri di Parabita”) o addirittura, di un intero monumento (come un nuraghe, una chiesa, ma anche un ipogeo).
Questo articoletto non ha la pretesa di essere una guida passo passo, o una spiegazione accademica dei diversi metodi esistenti; più che altro ha l’ardire di tracciare un resoconto di queste due attuali tecnologie (droni e stampa 3D) e di come questi siano già di attuale beneficio alla materia. Come tutte le tecniche, tuttavia, queste non possono prescindere da un ragionamento a monte, su come e quando usarle, poiché il rischio sarebbe quello di ottenere un mirabile prodotto estetico, tuttavia poco informativo e di scarso o nullo interesse scientifico, con l’esclusivo risultato di diventare un ulteriore inghiottitoio di utile denaro pubblico.
Droni
Il termine “drone” è utilizzato attualmente per riferirsi in modo colloquiale ad un U.A.V. (acronimo che sta per unmanned aerial vehicle, in italiano definito più spesso aeromobile a pilotaggio remoto o A.P.R.), si tratta di un velivolo comandato a distanza mediante un telecomando, con una telecamera per “vedere” la direzione assunta ed eseguire foto, video o altri tipi di rilievi.
Sembrerà quindi banale che un drone riesca a trasportare una videocamera per fare delle riprese. Eppure, solo una decina di anni fa ancora volavano dei palloni aerostatici con cavo a terra, atti a trasportare pesanti fotocamere reflex comandate mediante lo stesso cavo di ancoraggio al suolo, utilizzate per fare degli scatti più o meno alla cieca, sperando che alla fine l’immagine fosse passabile, o quantomeno con lo specifico obbiettivo di interesse ben inquadrato…
Stampanti 3D
Non molti lo ricorderanno, ma nell’ormai datato (e sottovalutato) film “Jurassic Park III” (2001) viene mostrata una scena a dir poco premonitrice: un giovane paleontologo viene ripreso mentre mostra al protagonista un suo modello di prototipazione rapida: la camera di risonanza acustica di un velociraptor. Al tempo la scena parve futuristica. Creare un oggetto tridimensionale da una foto? Impossibile.
Chi conosce come funziona il mondo della tecnologia militare, tuttavia saprà che le invenzioni più avveniristiche sono state usate prima dai militari, e poi dai comuni cittadini: internet (Arpanet), il GPS (NAVstar GPS) e gli stessi droni prima citati. Lo stesso è stato probabilmente per la stampa 3D, cioè prima che venisse diffusamente impiegata come oggi, era ad esclusivo utilizzo degli enti di ricerca più importanti, tale da sembrare quindi avveniristica…
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